Il 25 dicembre 2005 è sparita Birgit Nilsson all'età di 87 anni. Ha rappresentato per mia generazione LA cantante wagneriana per eccellenza ; ha cantanto molto alla Scala dal 1958 al 1972. A Parigi dove vivevo, ha cantanto negli anni Sessanta Isolde nella produzione di Wieland Wagner e, credo, Turandot. L'ho sentita negli anni Settanta, in particolare in una memorabile produzione di Elektra. 
Avendo avuto la fortuna, il privilegio direi, di sentirla, volevo, in occasione di questo anno che segna il centenario dalla nascita, far condividere in modo del tutto soggettivo i ricordi intatti di questa voce insuperata.

Articolo scritto per la rivista spagnola Platea Magazine

Ogni generazione ha le sue stelle del canto, per ogni ruolo. Ma non tutte le generazioni hanno le loro voci fuori dal comune. Gli anni Settanta costituiscono un momento di cambiamento generazionale quando ancora cantavano alcune stelle dei decenni precedenti, ma il canto wagneriano non aveva ancora trovato la sua generazione di ricambio, con l’eccezione di certe voci femminili (Gwyneth Jones, Deborah Polaski o Hildegard Behrens e Waltraud Meier); il versante maschile era assai povero : bisogna aspettare l’inizio degli anni duemila per trovare voci wagneriane che permettano di poter assegnare almeno un Tristan o un Siegfried a voci nuove e differenti.

Birgit Nilsson era una di quelle stelle che ho avuto il privilegio di ascoltare dal 73 fino alla fine della sua carriera (aveva 55 anni la prima volta che la vidi, a Orange ‑Aurasio‑, nel famoso Tristan und Isolde (Böhm/Nilsson-Vickers): ero giovane, appassionato di Wagner e cominciavo ad essere appassionato di voci. Premetto questo fin dall’inizio del mio articolo perché sia chiaro che in tutto il mio percorso di spettatore della lirica non ho mai più sentito una voce simile, che abbia tutto : potenza e volume, ma anche lirismo e fraseggio. La potenza era tale che sembrava non umana. Una voce che non ha paragoni oggi, anche a confronto delle più famose cantanti in attività nel repertorio wagneriano o straussiano. Le altre hanno grandi qualità, altre qualità, ma sono tutte ben lontane dal dare il brivido appena aprono bocca. Forse il lettore che non ha avuto la mia fortuna non potrà capire, o non mi crederà perché nelle incisioni non si sente la differenza, o forse anche perché i gusti sono cambiati.
La Nilsson aveva sullo spettatore un impatto innanzitutto fisico, perché la voce era incredibile.


Aveva iniziato la carriera negli anni quaranta (a 29 anni) e per una decina d’anni ha cantato a Stoccolma, fino al momento in cui Bayreuth la invitò per la parte di soprano nella IX sinfonia di Beethoven, nel Festival del 1953 (Dir : Paul Hindemith), poi nel 54 Ortlinde (Die Walküre/Joseph Keilberth) e Elsa (Lohengrin/Eugen Jochum e Joseph Keilberth). Ha cantato a Bayreuth dal 1953 al 1970, ma comincia a cantare i suoi ruoli (Isolde) dal 1957. Durante 10 anni, canterà alternativamente o contemporaneamente Isolde e Brünnhilde, i suoi due ruoli “fétiche”.
Ma il repertorio di Birgit Nilsson includeva anche ruoli italiani che sembrano oggi estranei alla sua personalità, come Amelia del Ballo in maschera che ha inciso con Georg Solti, (con il quale ha anche fatto il Ring di Wagner, Tristan und Isolde, Salomé, Elektra). Più congeniale alla sua voce Turandot che incide con il grande Björling nel 1960, poi con Corelli nel 1966. Comunque a partire dagli anni Sessanta, diventa una grande star internazionale, in particolare fedele al MET dove canta continuativamente  dal 1959 al 1981, e all’Opera di Vienna dov’è di casa dal 1954 al 1982 cantando, Lady Macbeth, Tosca (fino al 1979), Brünnhilde e la Färberin (Die Frau ohne Schatten). Come molti artisti della sua epoca, sceglieva i ruoli con prudenza e aveva nel suo repertorio, a partire dagli anni Sessanta, al massimo una quindicina di ruoli.

Per quanto mi riguarda, l’ho sentita in Tristan und Isolde nel 1973 (Orange), in Elektra nel 1974 e 1975 (Parigi), nella Frau ohne Schatten ((La Donna senz’ombra)) nel 1977 (Vienna) e in due concerti (Vienna 1979 e Parigi, agli inizi degli anni Ottanta). Ogni apparizione di Birgit Nilsson era qualcosa di molto particolare perché, come detto sopra, era prima un’impressione fisica. Questa voce immensa dava il brivido. Mi ricordo di aver portato molti amici alla sua Elektra parigina, anche amici non particolarmente interessati alla lirica e tutti, senza eccezione, furono esterrefatti dall’esperienza ; a tal punto che tutti me ne riparlano ancora quando ci scambiamo opinioni sull’opera. Ed ‘è questo l’eccezionalità della voce e della personalità della Nilsson : vista una volta, mai dimenticata.

Con Jon Vickers (Tristan), Orange 1973

Quando, seduto in alto nel teatro romano di Aurasio, con un’ acustica disturbata da un potente vento che faceva cadere i leggii, volare le partiture tenute da mollette e che creava un certo freddo, anche nel cuore dell’estate, vidi una sagoma lontana prima vestita  di nero, poi di bianco, col vestito volando nell’aria, quella macchia luminosa laggiù, lontana, fu come la discesa di un mito sulla terra. La Nilsson, l’avevo sentita in incisione ma non appena la voce fu sentita salire lungo i gradini del teatro, si capi che, con Karl Böhm sul podio, e Jon Vickers come Tristan, sarebbe stato uno spettacolo  storico : eppure Vickers e Nilsson non andavano d’accordo, ma chi avrebbe potuto fermare quell’energia, raddoppiata dalla necessità di lottare contro gli elementi ! Esiste ancore il video della serata, di una qualità sonora e visiva decisamente scadente, rispetto a ciò cui siamo abituati oggi, però soffia ancora il vento della storia dell’opera. Il “Tristan di Orange” è impresso nella mia memoria, nel mio cuore.

Rysanek, Nilsson, Varnay (Parigi 1975)

La mia seconda esperienza fu di sicuro la più importante : nel 1974, l’Opera di Parigi mise in cartellone Elektra di Strauss, nella produzione di August Everding di Amburgo (tuttora in repertorio) nella quale Birgit Nilsson aveva cantato la prima. L’orchestra era diretta da Karl Böhm, il cast nel 1974 includeva Birgit Nilsson (Elektra), Leonie Rysanek (Chrysothemis), Christa Ludwig (Klytemnästra), ripresa nel 1975 con Astrid Varnay in Klytemnästra. Vidi tutte le rappresentazioni aperte (una era chiusa per la visita ufficiale del Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Walter Scheel). Fu di sicuro, con il Ring di Chéreau e il Boccanegra di Strehler-Abbado, l’esperienza più sconvolgente di tutto il mio percorso lirico. Ma dal punto di vista strettamente vocale queste rappresentazioni furono senza ombra di un dubbio un apice mai più raggiunto in tutta la mia vita. La Chrysothemis di Leonie Rysanek, come una tempesta, dava al duetto iniziale tra le due sorelle una tensione, un’intensità che mi colpì e che anche una produzione come quella di Chéreau con Herlitzius e Pieczonka non ha potuto eguagliare. Forse all’epoca ero troppo giovane per avere l’esperienza lirica che ho oggi, ma queste rappresentazioni hanno fortemente segnato la mia mente come nessuna produzione di Elektra (molto di moda oggi, più di allora). Solo la Klytemnästra di Astrid Varnay (ancor più di quella della Ludwig) è paragonabile a quella di Waltraud Meier oggi, ma dal punto di vista opposto, laddove la Meier è più umana, dava al personaggio un colore terrificante (dizione, expressività, presenza), quasi non umano.
Poi c’era la Nilsson.
Nella sala del Palais Garnier, la voce di Nilsson spiccava in modo da sembrare inverosimile. Gli acuti tenuti, fenomenali, con una stabilità incredibile e senza mai avere debolezze (alla fine della carriera aveva qualche problema non di volume, sempre senza paragoni, ma di intonazione), ma anche l’estensione, l’omogeneità, e questo timbro unico, tagliente ma non metallico, freddo ma che sapeva anche addolcirsi come nella scena con Orest, dopo il grido “Orest!” che superava ogni aspettativa (scusate i superlativi, ma davanti alla Nilsson, vale solo il superlativo, per chi ha avuto la fortuna di sentirla), tutto quello che seguiva era cantato con una sensualità, una dolcezza, una tenerezza dove la voce sapeva farsi incanto, e dava col canto stesso l’idea di qualcosa di incestuoso, concludendosi con un altro “Orest”, appoggiato sul soffio da capogiro. Momento stupefacente che faceva venire sistematicamente le lacrime agli occhi. Esiste un’incisione “live” in vendita negli USA, con suono medio (ripresa dalla radio, che aveva trasmesso la rappresentazione ufficiale in onore del Presidente tedesco): ovviamente ascoltando il disco riprovo i miei sentimenti di allora, ma non so come lo accoglierebbe un ascoltatore che non c’era e che è abituato ad un suono di maggiore qualità. Ogni rappresentazione vista di quell’Elektra era uguale all’altra, stessa chiarezza cristallina dell’orchestra di Böhm (incredibile la performance dell’Orchestra dell’Opera di Parigi), stesso impegno delle voci, stessa energia selvaggia. Lasciava dopo un po’ storditi, Nilsson aveva oltre alla voce una presenza scenica impressionante, nonché un impegno teatrale notevole, espressione del viso, movimenti. Era una qualità che si aggiungeva alla voce unica e che aumentava ancora di più l’effetto. Nilsson era tutt’altro che un pezzo di legno in scena, come certe cantanti di allora. Posso valutare solo oggi a distanza di anni, come queste sette rappresentazioni hanno segnato per sempre la mia visione di quello che può essere il mito, e lo choc che può procurare l’opera. Sono stato ripagato per la vita delle notti di coda davanti all’Opéra per ottenere biglietti.

Ho ritrovato quell’impressione nella Frau ohne Schatten viennese domenica 23 ottobre 1977 (Böhm/King, Rysanek, Hesse, Nilsson, Berry) – esiste un CD da Deutsche Grammophon – Nilsson era una Färberin sconvolgente : la voce spiccava ovviamente come nell’Elektra, con un’umanità ancora più sentita presente in tutta la sua prestazione. Ma la rappresentazione, come quelle di Elektra, valeva anche per il livello incredibile del cast e della musica, perché l’emulazione musicale era tale che non poteva che sconvolgere. Non era solo il trionfo della Nilsson, ma di tutti, di un insieme che dava a questi momenti il segno dell'eccezionalità.

Ho anche ascoltato la Nilsson in due concerti :

Il primo concerto era un po’ eccezionale : Il 1 settembre 1979, a l'Opera di Vienna, per l’apertura della UNO City (Città delle Nazioni Unite). C’erano tutti i più grandi cantanti del mondo, da Caballé a Cappuccilli, da Carreras a Domingo, da Rysanek a Ghiaurov, e Kollo, e Jerusalem, e Gruberova : la Nilsson cantò la Liebestod di Tristan und Isolde. Mi ricordo di aver potuto constatare che una volta di più la voce, magnificamente impostata, dominava l’orchestra (diretta da Horst Stein) e la famosa nota finale su “Lust” fu perfettamente eseguita, alleggerendo il fiato fino all'impossibile. Tempo sospeso. In questi anni, gli ultimi della carriera, Nilsson ha soprattutto cantato Strauss (Elektra, e la Färberin della Frau ohne Schatten fino al 1982, più qualche Isolde e più rare Brünnhilde – fino alla fine degli anni Settanta, anche se ha cantato due ultime Tosca nel 1978 e 1979, a Vienna, l'ultima con James King come Mario.

L’ultima volta che la sentii fu a Parigi in un concerto con orchestra, dove tra l’altro aveva cantato la scena finale di Salomé (aveva più di 60 anni) in modo stupefacente. Questa voce tagliente riusciva ad avere un colore di incredibile sensualità (Nilsson ha cantato e inciso Salomé, ma per tutti è prima di tutto Elektra, un ruolo così teso che non voleva eseguirlo più di quattro volte di seguito, con tre o quattro giorni di pausa tra una recita e l’altra. Poi come ultimo bis, dopo un concerto impegnativo, è sparita dietro le quinte ed è tornata correndo verso il proscenio lanciando stentorei “Hojotoho!” dell’inizio dell’atto II di Valchiria, con un sorriso disteso e senza apparenti sforzi ; era rimasta la forza della natura che abbiamo sempre conosciuto.

Tale era la mia Nilsson : era une donna assai naturale e amabile, per niente Diva, con un gran senso dell’umorismo : un solo esempio, ad un giornalista che le chiedeva cosa bisognasse avere per cantare Isolde, aveva risposto : “Bisogna avere scarpe comode perché rimane in scena così tanto !”. E quando il ristorante di Bayreuth era allo stesso tempo ristorante per spettatori e mensa per lavoratori, mangiava – secondo le testimonianze di spettatori – enormi bistecche tra un atto e l’altro, vestita da Isolde.

Fisicamente, era di statura media, con un petto impressionante, allenato a lanciare suoni inauditi, a dominare i teatri con un volume unico ; come scrivevo poc’anzi, era una forza della natura. Ho avuto la fortuna immensa di sentirla dai miei 20 anni a i miei 30 anni. Mi ha insegnato cosa vuol dire cantare, cosa vuol dire preservare la voce, senza mai essere sensibile alle sirene della facilità e del rischio, oltre ad avermi dato tra le più grandi emozioni della mia vita intera.

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