La gazza ladra (1817)
Gioachino Rossini

Melodramma in due atti
Libretto di Giovanni Gherardini
(Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro
in collaborazione con Casa Ricordi, Milano a cura di A. Zedda)

A 200 anni dalla prima rappresentazione – Teatro alla Scala 1817

Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala

La Prima rappresentazione di La gazza ladra è stata dedicata alla memoria di Alberto Zedda

Direttore Riccardo Chailly
Regia Gabriele Salvatores
Scene e costumi Gian Maurizio Fercioni
Luci Marco Filibeck
Movimenti coreografici Emanuela Tagliavia
Marionette, costumi e animazione a cura di Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli

CAST

Ninetta Rosa Feola
Pippo Serena Malfi
Lucia Teresa Iervolino
Fabrizio Vingradito Paolo Bordogna
Giannetto Edgardo Rocha
Fernando Villabella Alex Esposito
Gottardo Michele Pertusi
Ernesto Giovanni Romeo
Giorgio/Il Pretore Claudio Levantino
Antonio Matteo Mezzaro
Isacco Matteo Macchioni
Una gazza Francesca Alberti

 

Teatro alla Scala, 22 aprile 2017

Riccardo Chailly riporta alla Scala dopo 176 anni La gazza ladra di Rossini, stranamente sparita dal teatro del Piermarini dopo l’ultima ripresa del 1841. Una bella iniziativa con un cast di tutto rispetto composto di tre generazioni di cantanti rossiniani, tra cui giovani valorosi. Pur essendo una produzione molto rispettabile, non è stata la festa rossiniana attesa. Perché ?

La gazza ladra non è molto conosciuta dal pubblico, eccetto la famosa sinfonia, suonata spesso nei concerti o sui dischi di sinfonie rossiniane, anche alla Scala parecchie volte dal 1950. La gazza ladra è un’opera semiseria, quasi un “opera-comique”, un dramma contadino dove una giovane serva viene ingiustamente accusata del furto d’un cucchiaino d’argento, e quasi condotta al patibolo dopo un giudizio crudele ((La fonte era un melodramma francese del 1815, La pie voleuse, di Louis Charles Caignez su musiche di Alexandre Piccini, ispirato a un fatto che pare sia accaduto)), finché all’ultimo momento si scopra che la vera ladra era una gazza maliziosa (( la storia è anche quella dei Gioielli della Castafiore, uno degli ultimi Tintin)). Non è un’opera leggera, ma un autentico dramma, inserito nella storia della Francia, in piena “Restauration” borbonica dopo Napoleone. Non a caso i tamburi che ricordano la Rivoluzione accompagnano e la sinfonia e il corteo funebre che conduce la povera Ninetta al patibolo, e non a caso le campane suonano la scoperta del furto della gazza, campane vietate durante la Rivoluzione e annunciatrici di lieto fine.
Il fondo storico della storia ne fa un’autentico melodramma di essenza popolare (com’era spesso l’opera-comique francese), ma anche un’opera a salvataggio nella tradizione del fine settecento. Rossini abbraccia uno stile già aperto da Cherubini (che ha ispirato Torvaldo e Dorliska nel 1815) o Méhul, e apre su Auber o opere del belcanto : c’è anche qualcosa che fa pensare alla Sonnambula, opera semiseria di stile contadino dove una ragazza viene falsamente accusata d’infedeltà. “La gazza” nel fatto specie è il sonnambulismo e non a caso il libretto di Felice Romani è ispirato ad un  vaudeville francese di Scribe del 1819.
Da un certo punto di vista, La gazza ladra è un’opera singolare nella produzione rossiniana, più spesso appoggiata a tragedie (Voltaire), commedie (Beaumarchais) o racconti (Cenerentola) e questa singolarità si nota anche in una musica molto seria, molto sinfonica anche, con scene lunghe, soprattutto nel secondo atto, che costituisce un po' le radici del Grand’Opéra. L’opera esige tensione, ma anche una certa dinamica, perché alterna momenti di puro stile rossiniano (nel primo atto), e momenti più maestosi spesso corali, ad esempio la scena del corteo che porta Ninetta al patibolo o quella del processo, quasi verdiana.
La regia di Gabriele Salvatores,  che torna al teatro dopo 28 anni di assenza, è focalizzata sulla gazza, interpretata dal un’acrobata bravissima, Francesca Alberti, personaggio centrale di “donna libera” che organizza il dramma, svolazzando, salendo, scendendo, circolando, come una sorta di genio, di Gimini Cricket dello spazio teatrale (a destra, palchi, a sinistra, quinte) con corde, con leve per sollevare scene che si vedono dei teatri settecenteschi, come se fosse lei il regista, l’inventore della trama. I costumi sono ottocenteschi, da ambiente contadino dell’opera-comique, con qualche segno riferito alla modernità o al cinema (Il Podestà vestito come Nosferatù). Tra tutti questi “segni” ci sono anche le marionnette splendide della famiglia Colla (soprattutto durante la sinfonia, con un palcoscenico nel palcoscenico di bel effetto), che annunciano la storia o mimano i momenti chiave. Piccoli segni molto numerosi, ma che non aggiungono nulla di indispensabile.
Salvatores poteva risparmiarsi forse le marionnette, viste tante volte, e forse usare meglio il teatro nel teatro che non porta senso specifico nella sua regia. La guida degli attori è tradizionale, e i migliori sono quelli che sanno per se incarnare un ruolo, come Alex Esposito, per il resto, mancano un po'e confuso le idee, salvo in certi momenti chiave, come il tribunale istallato nei palchi del lato destra (il teatro), spettatore-giudice della vicenda.

La scoperta del furto della gazza non mi sembra gestita scenicamente in modo molto felice, ed è confuso assai ; l’idea del campanile, chiara per la campana gigante, non viene resa molto bene dalle scene pur efficaci di Gian Maurizio Fercioni, che firma anche i costumi.
Intendiamoci : la regia non sviluppa le buoni idee (quella della gabbia dove si ritrovano il vampiro-Podestà e la fresca vittima Ninetta ad esempio), annegate in tanti luoghi comuni,  e segue un filo drammatico tutto sommato assai tradizionale. Non disturba, non entusiasta neanche.
La direzione musicale di Riccardo Chailly non meritava di sicuro i buuh della Prima. Il mondo rossiniano è familiare assai al direttore milanese : le sue incisioni, Il Barbiere di Siviglia, La Cenerentola, Guglielmo Tell, Il Turco in Italia, hanno riscontrato grande successo. La sua direzione è precisa, molto chiara, dà spazio ai minimi dettagli della partitura, lasciando svilupparsi i legni e gli ottoni in modo molto dinamico, che ricorda qualche volta nella cura dei dettagli di scrittura il Wagner dei Meistersinger (Wagner non disprezzava infatti Rossini) suonato poco tempo prima dall’orchestra. Alterna momenti di dinamica vivace e altri più solenni o addirittura più drammatici.
Però l’insieme , pur sempre teso, sembra un pochino disomogeneo, forse per causa della musica stessa, che esita tra il Rossini più sorridente delle opere buffe, e un Rossini più sinfonico che annuncia le opere più monumentali, anche con personaggi come Pippo che preannuncia il Jemmy del futuro Tell. Non si riesce ad alleggerire momenti lunghi come la scena del tribunale del secondo atto, molto più seria e drammatica, e più pesante musicalmente (questo Rossini ricorda molto Cherubini o Spontini  e preannuncia anche Verdi): da cui l’impressione di un sinfonismo eccessivo, anche un po’ freddo, di una certa lentezza, a dispetto della teatralità, di una certa sensibilità,  e anche dei cantanti, più spesso coperti dall’orchestra in questa seconda parte.
E' evidente che questo Rossini (che pochi mesi prima aveva firmato La Cenerentola) non frizza come lo Champagne, e non può’ essere letto in modo così leggero ne cristallino. Rimane una prova di tutto rispetto da parte dell'orchestra della Scala il cui suono segue la maestosità dell’insieme che sfiora anche in modo sorprendente Beethoven .
Di tutto rispetto anche la compagnia di canto, composta da tre generazioni di cantanti rossiniani, da Michele Pertusi, trent’anni di canto esemplare, a Alex Esposito, classe 1975, uno dei più grandi cantanti rossiniani del momento, e una bella serie di voci più giovani dell’ultima generazione. Michele Pertusi, il podestà, maturo e cattivo, figura da vampiro nella regia di Salvatores, rimane un basso impressionante, anche se il tempo un po’ lento del direttore non lo favorisce sempre mettendolo qualche volta in difficoltà, sia nella dinamica, sia negli acuti. Rimane chiaro che Michele Pertusi è sempre un cantante di riferimento in questo repertorio.
Alex Esposito è una figura paterna, quella del soldato veterano, probabilmente erede delle forze napoleoniche : ne dà una vera incarnazione, con impeccabile stile rossiniano. Questo cantante, che sia  Figaro,  Assur,  Fernando, figure diversissime, personifica perfettamente i vari ruoli : il suo Fernando è vivo, teso, molto umano, energico, e la voce è forte, modulata, piena nelle dovute nuance, con una padronanza unica delle variazioni di stile e una grande personalità scenica. Impressionante.
L’altro soldato è Giannetto, che presto si cambia da soldato a “gentile”fidanzato con la sua morale borghese, innamorato di Ninetta : Edgardo Rocha, nuova voce nella galassia tenorile rossiniana, ben rappresentata nel mondo iberico e ibero-americano ha una voce giovane e chiara assai, con timbro luminoso, con acuti dovuti e anche belle morbidezze ma manca ancora di personalità, anche se il ruolo non è sempre molto interessante. Da seguire comunque.
Il padre Fabrizio è Paolo Bordogna, baritono-basso di riferimento nei ruoli rossiniani e belcantisti in questo momento, voce chiara, emissione esemplare, bella personalità scenica, che rende giustizia all’umanità del personaggio.
Dal lato femminile la Lucia di Teresa Jervolino è il personaggio giusto, umano, malgrado gli eccessi e che presto si rende conto che le sue accuse l’hanno portata aldilà di quello che voleva. La voce ha le agilità, ma è più al suo aggio nel registro centrale, l’acuto è un po’ gridato nell’aria A questo seno resa mi fia del secondo atto. Invece il Pippo di Serena Malfi che ricordiamo nella sua bella Cenerentola romana, ha trovato ritmo di crociera in questa terza recita : il canto è chiaro, e ben calibrato, forse un po’ meno nei concertati. La voce scende in modo notevole nelle registro grave, e ha la dinamica e la vivacità voluta.
La Ninetta di Rosa Feola ha una voce molto controllata, molto attenta a cantare con stile, con emissione chiara, e bel fraseggio. Anche se il ruolo non esige agilità stratosferiche, non è ancora impressionante nel acuto. Rimane prudente e manca forse un po’ di personalità scenica, mentre il personaggio ne dimostra tanto, salvo nella scena ultima del corteo verso il patibolo dove riesce a commuovere. L’artista promette molto, la prestazione le fa onore, ma non si è ancora totalmente matura.
Anche i ruoli secondari come l’Ernesto di Giovanni Romeo, il pretore di Claudio Levantino o Antonio ( Matteo Mezzaro) e soprattutto l’Isacco di Matteo Macchioni (un antenato di Mastro Trabuco o di Parpignol) sono tenuti bene.

In conclusione, si poteva forse sognare una festa rossiniana che non c’è stato perché la regia, la direzione musicale, la compagnia di canto non entusiasmano sempre. Rimane però uno spettacolo molto dignitoso che non meritava tanto baccano.

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