David Fontanesi
Preludi ad una metafisica della musica contemporanea

Zecchini Editore (Varese, 2018)

INDICE SOMMARIO

Presentazione di Nicola Cattò

Prefazione
Capitolo 1 – Sull'intenzione del Bello
Capitolo 2 – Sull'essenza teorica della musica contemporanea
Capitolo 3 – Sulla simmetria e la variazione nell'arte musicale
Capitolo 4 – Sulla tradizione musicale
Capitolo 5 – Sull'evoluzione musicale
Capitolo 6 – Sull'estromissione della categoria del godibile dalla fruizione del„l'ascolto musicale
Capitolo 7 – Sull'atonalità e il serialismo dodecafonico
Capitolo 8 – Sull'artificialità del linguaggio musicale delle avanguardie
Capitolo 9 – Sugli esiti solipsistici della libertà linguistica nella musica contemporanea
Capitolo 10 – Sulle derive nichiliste della musica aleatoria
Capitolo 11 – Sulla corrente minimalista
Capitolo 12 – Sulla corrente neoromantica
Capitolo 13 – Sulla composizione musicale come proiezione di una possibilità sul mondo dei suoni
Capitolo 14 – Sulla notazione musicale contemporanea
Capitolo 15 – Sulle partiture a stampa
Capitolo 16 – Sullo stile musicale
Capitolo 17 – Sul ruolo del compositore contemporaneo
Capitolo 18 – Sulla consonanza e la dissonanza
Capitolo 19 – Sulla critica musicale
Capitolo 20 – Sull'origine metafenomenica dell'atto compositivo

Bibliografia
Indice dei nomi

Annunciato da un titolo che farebbe temere uno di quei perniciosi libri sulla musica scritti da filosofi che non distinguono una chiave di Do da una di Fa – rivelandosi poi per fortuna tutt'altro –, Preludi ad una metafisica della musica contemporanea(Zecchini, Varese 2018) del compositore David Fontanesi sta sollevando le prime reazioni vibrate, anzi addirittura un piccolo “caso”. Davanti all'impegnativo lemma “metafisica” associato a quello di “musica” – per giunta quella definita “contemporanea”, che da categoria storica è diventata ormai tratto metatemporale di identificazione stilistica –, si teme di primo acchito che l'autore, come molti negli ultimi anni, faccia della musica la fonte di una “metafisica” dove ci si abbandona a una libera divagazione. Invece qui non c'è niente di tutto questo : il genitivo del titolo è un genitivo oggettivo, dove quindi la musica contemporanea è l'oggetto, non il soggetto di una metafisica. A partire da tale assunto, quello appunto di una riflessione filosofica portata sulla musica del ventesimo secolo, il discorso si dipana con esemplare rigore e consequenzialità. 

Davide Fontanesi

L'autore, le cui composizioni sono pubblicate da Sonzogno, è anche laureato in Storia della Filosofia Medioevale e passa con disinvoltura da Platone (in greco), a Orazio (in latino), a Sant'Agostino, a Nietzsche, a Wittgenstein, ad Adorno, mettendo preventivamente a fuoco le varie categorie della metafisica con cui poi distrugge una per una, negando loro legittimità filosofica, le maggiori correnti della musica novecentesca. Da questi temibili Preludi di Fontanesi si salvano, e anzi ottengono il posto che loro compete, solo singoli compositori ; ma le correnti e le “scuole”, tutte, vengono disintegrate giusta categorie filosofiche. Se la virulenza delle affermazioni di Fontanesi non ha mancato di suscitare opposizioni – era prevedibile che il giudizio secondo cui quelli di Cage (che ha fatto più di chiunque altro per la distruzione della musica novecentesca) siano “aborti musicali”, quelle della Scuola di Schönberg le “esalazioni mefitiche di una pattumiera” e lo sperimentalismo un “masochistico processo di autocastrazione” –, si dovrebbe però concedere a un'analisi così ben documentata l'onore delle armi di una polemica di ritorno, una discussione sul merito di quello che viene affermato, una confutazione possibilmente persuasiva e scevra di pregiudizi delle singole affermazioni dell'autore. Invece, la ricezione del libro di Fontanesi si sta dimostrando la prevedibile alzata di scudi contro chi abbia toccato un tabù inviolabile – quello della bontà e giustezza dell'avanguardia –, attentando avventatamente a un ordine che, ancora settant'anni dopo, deve essere mantenuto intatto a tutti i costi. Il dubbio se per caso Fontanesi non abbia ragione, se un secolo di diffidenza, ostilità, incomprensione, disgusto da parte del pubblico non siano dopo tutto la prova che la proposta avanguardistica non ha funzionato, che quella musica non era fatta per essere apprezzata né dai contemporanei né dai posteri (nonostante tutta la loro buona volontà), che la vera musica del Novecento non è accaduta nello sperimentalismo ma altrove – perfino nella buona musica leggera ! –, non deve essere preso nemmeno in considerazione. Il lineamento storico del Novecento, con la sua gerarchia di valori fissata irrefutabilmente dagli stessi protagonisti (che, nemmeno a dirlo, si sono piazzati al vertice della piramide), con la definizione degli “eretici” che hanno decampato dalla via maestra del progresso musicale perché “reazionari” (dopo un discorso di Britten contro l'avanguardia, Nono rifiutò di stringergli la mano), è stato già disegnato in maniera irrefutabile, scolpito nel marmo delle certezze assolute, granitico e immutabile come un dogma religioso. Per la gran parte degli studiosi la storia del Novecento è infatti stata scritta una volta per tutte : la sua legge di evoluzione interna imponeva che si arrivasse a certi esiti (la prima e poi la seconda avanguardia, più il pendant dialettico Stravinskij) che dunque sono eticamente apprezzabili ; quanti invece non si sono allineati – Schreker, Weinberger, Zemlinsky, Orff, Pfitzner, Bartók, Janácek, Szymanowsky, Enescu, Puccini, Marinuzzi, Alfano, Respighi, Gnecchi, Françaix, Dutilleux, Duruflé, Shostakovitch, Prokofiev, Britten, Menotti, Barber, Henze, giù giù fino al postmoderno –, vengono considerati altrettanti “fenomeni collaterali” rispetto alla via maestra tracciata dai Viennesi.

Il fenomeno della storiografia novecentesca, a guardarlo bene, è curioso : siamo la prima generazione che abdica coscientemente al proprio sacrosanto diritto di volgersi verso la tradizione – l'intera musica del Novecento – sceverando in maniera critica cosa possa ancora essere considerato vivo di quella tradizione oggi, quali sono i valori in campo a distanza di mezzo secolo, quali gli errori di prospettiva, connessi inevitabilmente alla contemporaneità, da correggere ora grazie a uno sguardo reso limpido dalla distanza storica. Con un'incredibile deformazione storica e ideologica – quasi il crampo di una nevrosi, un'inquietante rivendicazione di persistente minorità –, consideriamo il Novecento storico ancora il nostro presente e come tale ancora “ingiudicabile”: la musica tanto lontana della metà del secolo scorso viene infatti ancora definita “contemporanea” perché rifiutiamo l'idea che sia ormai diventata “storia”, “passato”, e che dunque spetti a noi, nani sulle spalle dei giganti, di valutarla con le categorie decantate della posterità. Ovviamente, un giudizio di valore che non si limiti a perpetuare un sistema assiologico trasmesso identico da decenni ma ne proponga uno nuovo comporta un'assunzione di responsabilità – cosa che pochi, perfino quelli che ne avrebbero gli strumenti culturali e il dovere, si rivelano disposti a fare : e se, al vaglio di una spassionata valutazione storico-estetica, risultasse nientepocodimeno che Boulez non era un compositore così grande come lui stesso credeva ? Meglio non saperlo, e recensire sfavorevolmente un libro come quello di Fontanesi che non accetta un sistema di valori tenuto artificialmente in piedi come neanche le cariatidi del partito comunista alla fine dell'URSS, esibite alle parate militari con la divisa carica di medaglie ma frollate dalla vodka e pronte a collassare a testa in giù davanti a tutti. Se non suonasse irrispettoso, si potrebbe parafrasare il titolo del curioso necrologio dedicato dal compositore francese a Schönberg appena mancato e dire che “Boulez è morto e non ve ne siete accorti.

Fontanesi se n'è accorto, altroché. Il suo, insieme a quello spettacolare di Paolo Isotta in Altri canti di Marte (Marsilio, 2015), è un serissimo e quanto mai opportuno tentativo di scrivere una storia alternativa del Novecento, dove si faccia finalmente giustizia di quella dittatura del progressismo che ha promosso la Scuola di Vienna e le sue propaggini darmstadtiane e aleatorie ad alveo privilegiato – anzi, l'unico eticamente ammissibile – in cui è corso il Novecento musicale, e che ha sottovalutato tutti quei compositori che non si riconoscevano in uno sterile sperimentalismo linguistico inteso a spostare sempre più avanti, provocazione dopo provocazione, insensatezza dopo insensatezza, la frontiera del “nuovo”: « il “nuovo”», scrive Fontanesi, « è allora meta illusoria del cammino degli sperimentalisti, perché inconsistente dal punto di vista ontologico ; se il “nuovo” appartiene al tempo, è infatti del tempo il suo venir meno ad ogni istante (l'in-stans è per l'appunto, nel senso dell'etimo, ciò-che-non-sta). Ricercare artisticamente il “nuovo”, per di più con l'allucinata pretesa di identificarlo e farlo coincidere con il “bello”, è inseguire qualcosa di assolutamente instabile, precario, transeunte ; i fautori del “nuovo” sono gli efferati complici di Kronos che divora i suoi figli » (p.4).

La ricerca del “nuovo” a tutti i costi, che per decenni è stato fatto passare per il “bello”, anzi per qualcosa che non aveva bisogno di essere “bello” perché era “vero” è, come osserva Fontanesi, la radice di un sovvertimento di valori e anche di una tipica distorsione che ha trasformato la composizione da atto artistico – libero, creativo, rischioso – in pretta applicazione di una teoria, quella della progressiva razionalizzazione del materiale musicale : « Ora, se la musica si riduce ad elaborazione pragmatica di un sistema astratto (teoria) si assiste ipso facto alla trasformazione dell'opera d'arte in lavoro. Le creazioni di questi “grandi lavoratori” della musica (i post-webernisti, gli strutturalisti, gli stocastici, gli spettrali etc.) non sono affatto opere d'arte, bensì la conversione in prassi delle loro teorie. Ogni teoria consiste in un lavoro di ordinamento : teoria, nel senso dell'etimo, indica il “disporre in serie per essere veduto”. Ed ecco che le teorie seriali, minimaliste, puntilliste etc. si configurano come l'atto di imprimere un ordine al materiale musicale, di conferirgli una disposizione che ne coordini o subordini gli elementi secondo una certa prospettiva. Rientrano nel novero di tali operazioni strutturali anche gran parte degli aborti musicali di Cage e dei suoi ottusi epigoni dell'alea più o meno controllata » (p. 8–9). Fontanesi ha ragione, quello che dice è esatto e assolutamente condivisibile, ed è anzi curioso che occorra ribadirlo visto che le sue affermazioni sono platealmente vere ! Troppo a lungo si è potuto spacciare il divertimento privato di Cage, la sua mancanza di cultura, le sue irritanti boutade come “musica”, mentre i vari Imaginary Landscape, la paccottiglia del pianoforte preparato, e lo stupido vuoto del sopravvalutatissimo 4'33” finivano di disintegrare quel poco di cultura musicale condivisa che il serialismo integrale aveva lasciato in piedi. Le composizioni di Cage sono la colonna sonora di un suicidio collettivo, quello della musica del Secondo dopoguerra, che nel tentativo disperato di scrollarsi di dosso un'eredità storica di cui non voleva farsi carico ha verificato su sé stessa, annientandosi, quello che non riusciva a comunicare con mezzi musicali : l'impossibilità dell'arte, teorizzata da Adorno, dopo Auschwitz.

Profonde e godibilissime sono le pagine di Fontanesi su Jean Françaix (un compositore vero) contrapposto a Milton Babbitt (un prodotto dell'avanguardia); interessanti e persuasive quelle dedicate a distruggere la musica di Donatoni alla luce delle categorie di Wittgenstein (ma ci si può riuscire anche con un armamentario filosofico più leggero), e quelle dedicate alla demolizione filosofica di Bryan Ferneyhough. Due sono invece i punti su cui, nel generale accordo con le affermazioni di Fontanesi, si potrebbe dissentire. Il primo riguarda l'atteggiamento del pubblico : « Di fronte alle agghiaccianti atrocità musicali che questa canaglia avanguardista disumanizzata e indottrinata propone, si assiste ancor oggi ad un atteggiamento di passività degli ormai sempre più radi ascoltatori di “musica nuova”, incapaci di reagire per via di un immotivato sentimento di inferiorità intellettuale avvertito nei riguardi di questi visionari dissennati ». Per Fontanesi occorrerebbe « ritrovare il coraggio di fischiarli, di lanciare uova marce, di rifuggire le fumisterie pestilenziali che irradiano dalle loro sale da concerto, di assumere cioè un atteggiamento quantomeno di rifiuto verso la loro musica » (p. 12). Certo, vanno benissimo le uova marce e anche i fischi, o qualunque dimostrazione che il pubblico si è ripreso di prepotenza, si potrebbe dire strappandolo, il diritto di dare sulla musica un giudizio di valore – cosa che gli era stata accuratamente negata dall'estetica avanguardistica. Tuttavia, l'auspicio di Fontanesi è inutile : le uova marce non servono, quasi nessuno esegue più quella musica. Boulez è sparito dai cartelloni delle società di concerti, così come tutti gli altri protagonisti di quegli anni : Stockhausen, Pousseur, Cage, Xenakis, Metzger, Nono, Maderna, Bussotti, perfino Berio. Di lui sopravvivono ancora le accorte Sequenze, ma anche quelle sono destinate a sparire presto. Conserviamo quindi le preziose uova marce per la musica che veramente ci è contemporanea e che abbiamo tutto il diritto, da spettatori, di giudicare.

La seconda obiezione riguarda la valutazione fatta nel libro della figura di Adorno. È vero in qualche modo, come scrive Fontanesi, che l'«intera opera di Schönberg e della sua scuola sarebbe stata rapidamente accantonata e archiviata nel novero delle espressioni artistiche degli esponenti “minimi” della storia della musica se Adorno non si fosse assunto l'onore di spandere i miasmi immondi del “verbo” dodecafonico sull'intero orbe terracqueo ». Fontanesi prosegue scrivendo che « quello che mi ha sempre lasciato perplesso è il motivo per il quale la raffinatissima intellettualità tedesca degli Anni Cinquanta abbia dato così largo credito alla dottrina di Adorno (e questo nonostante le evidenti aporie e contraddizioni ad essa intrinseche) al punto da permettere la devastazione e il conseguente annientamento della tradizione musicale occidentale » (pp. 51, 55).  Ora, Adorno ha indubbiamente delle responsabilità storiche per aver giocato con troppa leggerezza il ruolo del musagete dell'avanguardia viennese, intronizzandola a evento principale della storia della musica e avallando che la stessa “Sinnlosigkeit”, la mancanza di senso diagnosticata alle composizioni di Schönberg, fosse esattamente quello che la dialettica storica imponeva alla musica – e dunque fosse giusta, opportuna, eticamente approvabile, messianica. Ma bisogna ricordare che gli sviluppi della seconda avanguardia andata in scena a Darmstadt, che si poneva apertamente come continuazione e radicalizzazione dell'esperienza viennese, costernavano per primo Adorno. Prima nel saggio « L'invecchiamento della musica moderna » (1954) e poi soprattutto nella conferenza epocale tenuta a Darmstadt nel 1960 davanti ai serialisti nel loro momento di massimo fulgore teorico e polemico, intitolata provocatoriamente Vers une musique informelle (per l'analisi della quale ci permettiamo di rimandare al nostro « Vers une musique informelle di Th. W. Adorno : annuncio di una nuova estetica musicale », in Punti e contrappunti. Voci dell'estetica musicale di oggi, ebook a c. di S. Zurletti, ilcorrieremusicale.it, 2015), Adorno disintegra con autentico furore quelli che avevano tradito ai suoi occhi il lascito del “manoscritto nella bottiglia” viennese, sprecando il sacrificio di Schönberg e dei suoi sodali quando avevano preso sulla loro musica “tutta la tenebra e la colpa del mondo” (Th. W. Adorno, Filosofia della musica moderna). In quella conferenza fondamentale l'ostilità espressa da Adorno verso Cage è addirittura maggiore di quella riservata ai serialisti, già fortissima, perché vi si aggiunge un non dissimulato disprezzo, e bisogna riconoscere al Filosofo di Francoforte di aver pronunciato quelle parole feroci, quegli spietati giudizi che negano alla scuola di Darmstadt qualunque legittimità, proprio in faccia ai trionfali protagonisti della Nuova Musica, che lo guardavano ridacchiando dalla platea e che infatti subito dopo si sbarazzarono di lui quale capofila teorico. L'attacco al vetriolo di Metzger che seguì la lettura di Vers une musique informelle, dove si rimprovera ad Adorno di essere lui quello “invecchiato” e non la musica sperimentale, segna il distacco della musica avanguardistica dall'unica voce che avrebbe potuto, e ardentemente desiderato, rappresentare un polo di confronto critico. Allontanando Adorno divenuto ora sgradito e comunque troppo difficile da influenzare ideologicamente, la Nuova Musica rinuncia alla dialettica con l’estetica della musica, che infatti da questo momento si appiattisce a mero bollettino d'informazione su una produzione orgogliosamente autolegittimata e impermeabile a qualunque critica.
Si deve al perdurare davvero patologico di tale mentalità – dove però un ruolo significativo è stato giocato dal blocco di interessi creato intorno alla Nuova Musica : basti pensare a quello che è stato ed è in Francia l'IRCAM – il fatto che a distanza di sessant'anni da quegli avvenimenti un libro intelligente, libero, traboccante di dottrina come quello di Fontanesi possa essere accusato di lesa maiestatis. In effetti, parrebbe proprio che giudichiamo la “musica contemporanea” scritta negli anni Cinquanta come se fosse stata scritta l'altro ieri : più che un “secolo breve”, a ben guardare il Novecento si sta rivelando per la musica un secolo lungo, lunghissimo, forse non ancora finito.

Video : https://www.youtube.com/watch?v=VCXxlZuNjCU

Davide Fontanesi

 

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Sara Zurletti
Sara Zurletti si è diplomata in violino e laureata a Roma in Lettere con tesi in Estetica. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca all'Università Paris 8. Ha insegnato nella stessa università "Teoria dell'interpretazione musicale" e poi, dal 2004 al 2010, Estetica musicale all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Pedagogia musicale all'Università di Salerno. Ha pubblicato "Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno" (Il Mulino, 2006), "Le dodici note del diavolo. Ideologia, struttura e musica nel Doctor Faustus di Th. Mann" (Biblipolis 2011), "Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella Morte a Venezia di Th. Mann" (Castelvecchi), e il libro-intervista "Ars Nova. ventuno compositori italiani di oggi raccontano la musica" (Castelvecchi 2017). Attualmente insegna Storia della musica al Conservatorio "F. Cilea" di Reggio Calabria.

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