Giuseppe Verdi (1813–1901)
La Traviata (1853)
6 mars 1853, La Fenice
Libretto di Francesco Maria Piave da La Dame aux camélias di Alexandre Dumas fils

Direttore d'orchestra :  Marco Armiliato
Regia e scene : Franco Zeffirelli
Costumi : Maurizio Millenotti
Coreografia : Giuseppe Picone
Luci : Paolo Mazzon
Coordinatore del Ballo : Gaetano Petrosino
Direttore Allestimenti scenici : Michele Olcese

Maestro del Coro : Vito Lombardi
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici dell’Arena di Verona

Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona

Violetta Valéry : Lisette Oropesa
Flora Bervoix : Clarissa Leonardi
Annina : Daniela Mazzucato
Alfredo Germont : Vittorio Grigolo
Giorgio Germont : Plácido Domingo
Gastone di Letorières : Carlo Bosi
Barone Douphol : Gianfranco Montresor
Marchese d’Obigny : Daniel Giulianini
Dottor Grenvil : Alessandro Spina
Giuseppe : Max René Cosotti
Domestico/Commissionario : Stefano Rinaldi Miliani
Primi ballerini :
Petra Conti
Giuseppe Picone

Arena di Verona, 1° agosto 2019

Nuovo allestimento 2019 dell’ l’Arena di Verona Opera Festival (nome ufficiale), La Traviata affidata dalla Sovrintendente Cecilia Gasdia a Franco Zeffirelli era molto attesa. Purtroppo Zeffirelli ci ha lasciato solo pochi giorni prima della Prima. DI colpo questa produzione è diventata l’ultima traccia del lavoro del leggendario regista, al quale si deve anche un bel film di Traviata con Placido Domingo e Teresa Stratas, e una regia vista a Firenze e Parigi (a Parigi appunto con la Gasdia) negli anni ottanta.
Questa replica del 1° agosto era anche un omaggio a Placido Domingo che per i suoi 50 anni di presenza in Arena.  Domingo § stato festeggiato per tre serate : dirigeva Aida il 28 luglio, ha cantato Germont il 1° agosto, e un gala gli è stato dedicato il 4 agosto. Per finirne con l’eccezionalità della serata, Vittorio Grigolo era Alfredo per l’unica volta dell’estate, e Lisette Oropesa era Violetta, un ruolo che ha cantato pochissimo, per la prima volta in Arena. Per di più Marco Armiliato è riuscito ad inserire questa
Traviata tra le Adriana Lecouvreur trionfali di Salisburgo
Tutto questo ha attirato una massa di pubblico e l’Arena segnava il tutto esaurito : 15000 persone aspettavano con gioia e fervore una serata d’eccezione, e così è stato.

Il dispositivo di Franco Zeffirelli per La Traviata

L'Arena ha i suoi rituali, tra cui il trambusto dei venditori ambulanti, tra cui la suonatrice di gong vestita a secondo del titolo che annuncia l'inizio dello spettacolo, sempre acclamata, rituale anche il pubblico caldo, felice, popolare (meno popolare nelle "poltronissime"), e per finire rituale l’assoluta necessità del carattere spettacolare della produzione.
L'enorme palcoscenico per l'occasione è concentrato attorno alle costruzioni delle scene enormi di Zeffirelli, scena nella scena, in stile Napoleone III che ricorda molto il Palais Garnier di Parigi.Nessun uso delle gradinate nel backstage, ma tutto viene concentrato sul set. È anche vero che le scene intimiste di Traviata (Atto II, primo quadro e Atto III) non combaciano facilmente con l'enormità del luogo. Eppure questa immensità le mette quasi in risalto.Franco Zeffirelli è un regista delle masse e della monumentalità, anche se ci ricordiamo una notevole Aida per il piccolo Teatro Verdi di Busseto (300 posti) ((Che verrà ripresa nel prossimo Festival Verdi durante l’autunno)). Le produzioni più sbalorditive sono in particolare quelle dell’Aida alla Scala (la prima, nel 1963) con le scene di Lila De Nobili, recentemente ripresa, La Bohème ancora alla Scala (del gennaio 1963) ancora in repertorio (c’è anche una copia a Vienna nel novembre 1963 tuttora in repertorio, proprio come la sua Carmen che risale al 1978) e ancora una Bohème un po’ diversa nel più ampio MET (1981), ma anche tanti altri titoli.

In breve, Franco Zeffirelli ha accompagnato i tre più grandi teatri del mondo per decenni. Che uno apprezzi il suo stile di lavoro o meno, esso segna un'epoca e segna anche una tradizione nata da Luchino Visconti, di cui è stato assistente. Questa filiazione è particolarmente evidente nel primo quadro dell’atto secondo, con sedili in vimini, piante, che ovviamente ne alimentano la nostalgia.

Atto II "Dite alla giovine" Lisette Oropesa (Violetta), Placido Domingo (Germont)

C'è in questo lavoro quest’ovvio riferimento nostalgico, ma anche l'iscrizione dell’ambiente nel tempo di Napoleone III (La Traviata risale al 1853, mentre La Dame aux Camélias al 1848), che è una cornice pienamente contemporanea. Prima della Carmen di Bizet (1875), Verdi vi dipinse qualcosa del suo tempo, di una Parigi che conosceva bene, di un universo sociale che non poteva ignorare in quanto tanto legato al mondo che girava nei teatri d’opera, in particolare a Parigi.Tutti suoi soggetti fino ad allora erano soggetti storici : La Traviata è la prima opera di Verdi iscritta nella sua epoca, un'opera contemporanea in qualche modo, e che affronta (con l’aiuto di Dumas-fils) la questione della moralità borghese e delle sue devastazioni.

Atto II, quadro 2 : Danza delle zingare

Il lavoro di Zeffirelli deve navigare tra lo spettacolare (un grande coro, il balletto delle zingare nella casa di Flora) e scene intime e concentrate (Atto I su due livelli, quello privato al primo piano e quello mondano al piano terra).

Lisette Oropesa (Violetta) finale dell'atto secondo

Come tale, l'atto III non manca di forza, ridotto a pochi personaggi, tranne l'intervento, abbastanza mal gestito del resto perché poco chiaro, delle maschere di carnevale dopo l'Addio del passato, in questo grande spazio del primo atto, abbandonato e vuoto, dal quale rimangono solo pochi mobili.Zeffirelli non guida gli attori : i cantanti sono lasciati a sé stessi, in particolare in questa rappresentazione con un cast speciale e unico, riunito per l’occasione. Ma a Verona la leggibilità di una personalità o di un personaggio è cosa impossibile : come leggere espressioni del viso, come vedere piccoli movimenti in questa immensità ? Quindi, piuttosto che “mettere in scena”, illustra la trama evocando un universo fatto di riferimenti, sia personali che stilistici, e in questo tipo di approccio è raramente mediocre (probabilmente la sua Aida versione 2 fatta alla Scala ai tempi di Lissner, era un po' ridicola per la sua pompa eccessiva).
Zeffirelli ha concepito scene che possono anche aiutare le voci a riverberare, specialmente nelle scene intime, e che richiedono cambiamenti apparentemente importanti ma in realtà abbastanza semplici nei loro risultati (aggiunta di una vetrata per il primo quadro dell’atto secondo, che cambia completamente l’ambiente a poco prezzo) et scene che ruotano velocemente assai per far apparire la casa di Flora, nel quadro più spettacolare della serata.In ogni caso questa Traviata rimane fedele alla sua visione, già collaudata nel suo film come nelle sue regie passate, e entra direttamente nel mito zeffirelliano.  C’è da scommettere che rimarrà a lungo nel repertorio di Verona, come testimonianza ultima di un’arte che ha segnato un’epoca e noi, ci lasceremo catturare dal fascino di una Traviata che abbiamo portata a lungo nel cuore. Infatti in questo spettacolo passano 50 anni e più di miti operistici, e che ovviamente parlano alle generazioni che hanno vissuto quel periodo ; forse meno alle giovani generazioni di fan della lirica. Nostalgia ed emozione caratterizzano uno spettacolo atteso e che non delude.Dal punto di vista musicale, l'evento è anche all'altezza. Data la difficile acustica di Verona, non possiamo aspettarci una leggibilità esemplare dell'orchestra, né percepire tutte le raffinatezze di una partitura che non ne manca.Eppure, Marco Armiliato offre un'interpretazione che non tende mai a strafare, molto chiara, precisa, che riesce ad accompagnare al meglio i cantanti ed a gestire l'enorme palcoscenico ((a volte a Verona sentiamo inevitabili discrepanze tra buca e coro, ma non è il caso stasera)) con un solo elemento un po’ imbarazzante, il suono amplificato dell'orchestra dietro le quinte equilibrato male.Da vero professionista, Armiliato sa dare allo spartito l'energia di cui ha bisogno nei momenti spettacolari e attesi (Libiamo ad esempio o il coro delle zingare della serata da Flora), ma è particolarmente attento all'atto secondo per consentire alle voci di proiettarsi, e soprattutto attento a  far sentire bene il fraseggio e lo stile impeccabile di Domingo, che non proietta più come una volta, così come l'accompagnamento molto sensibile dell’ addio del passato nel terzo atto, con tutta la raffinatezza e il colore desiderato.Verona gestisce questi due mesi e mezzo di festival (dal 20 giugno ai primi giorni di settembre) un po’ come un teatro di repertorio : ci sono cinque produzioni liriche in alternanza, e artisti che vediamo in diverse produzioni, altri che vengono solo per una o due sere, lo stesso per i direttori che si alternano, anche per la stessa produzione. Vuol dire poche prove per gli artisti ospiti, ma anche certe serate di successo e altre per forza più ordinarie.

Verona è un luogo di fervida comunione attorno all'opera, più che un luogo di raffinatezze del bel canto. La fortuna di questa sera è che abbiamo avuto entrambe le cose.
E dobbiamo anche rendere omaggio alle maestranze dell’Arena, perfettamente sincronizzate, che cambiano questi enormi scene in poco tempo, con un coordinamento impeccabile che gli spettatori possono constatare, e anche alla gestione delle masse corali, più facile in questa Traviata dove sono raggruppate, che in Carmen (di cui parleremo) dove il coro vien distribuito più ampiamente nello spazio.
Se, come minacciava alcuni anni fa, Verona avesse chiuso bottega, sarebbe stata una perdita irreparabile per la tradizione italiana, ma anche per così tanta abilità e competenze mandate in aria : la qualità delle "maestranze" di Verona e l'abilità accumulata e trasmessa da una tradizione risalente al 1913 sono qualcosa di assolutamente unico ed eccezionale, un vero tesoro della cultura italiana.

Un italiano, un’americana e uno spagnolo hanno trionfato stasera : la musica è arte internazionale, ed è un bene.

Lisette Oropesa (Violetta), Vittorio Grigolo (Alfredo) "Amami Alfredo"

Vittorio Grigolo era Alfredo, ed è stato un Alfredo esemplare. Conosciamo il carattere esuberante (e simpatico), e talvolta la mancanza di controllo di questa voce dotata di timbro davvero eccezionale ; abbiamo tra l’altro ritrovato quest’esuberanza nei suoi saluti spettacolari.
Consapevole di cantare vicino a Placido Domingo che fu un’Alfredo leggendario, ha offerto un canto più controllato, particolarmente sensibile e sentito, con acuti luminosi e solari e un’interpretazione perfettamente adatta al personaggio, di sicuro estroverso (dei miei bollenti spiriti peraltro più contenuto del solito) ma senza mai strafare :  non c’è stato mancanza di gusto nella sua esibizione, nessuna facilità, e questa interpretazione piuttosto misurata è stata formidabile per la freschezza, il vigore e il dono di sé : è uno dei più bei Alfredo ascoltati ultimamente nel capolavoro di Verdi.

Vittorio Grigolo (Alfredo), Lisette Oropesa (Violetta) Placido Domingo (Germont)

Lisette Oropesa era Violetta, un ruolo che ha cantato qualche anno fa e che per una sola serata ha cantato ad Atene pochi giorni fa, solo per averlo in bocca. Ciò che stupisce sempre dalla Oropesa è innanzitutto il suo fraseggio italiano quasi perfetto, il suo senso del colore, l'impeccabile controllo della voce e la linea di canto. Qualche volta le si rimprovera una prepotenza tecnica che nasconderebbe l’emozione ; invece qui è evidente l'unione di una tecnica impeccabile e il significato dato ad ogni parola, il peso dell'espressione (che secondo atto ! che intensità nell’ amami Alfredo!) e l'interiorità, una parola che potrebbe sembrare strana in una rappresentazione davanti a 15000 persone, dove lei è una piccola macchia bianca nell'immensità della scena. Lisette Oropesa, di origini cubane, ha un'ovvia familiarità con il fraseggio latino e una vera sensibilità, oltre ad una tecnica ferrea dovuta alla formidabile formazione americana. È una Violetta con cui dovremo contare, perché penso che sempre più numerosi saranno i teatri che la vorranno in Traviata. Il suo Addio del passato è esemplare, e persino la sua lettura della lettera, così chiara. Inoltre s’impone anche nelle agilità (i suoi gioir nel sempre libera del primo atto) come nei momenti più lirici del secondo atto (dite alla giovine sconvolgente e anche contaminato dall'emozione distillata dal grande Domingo).
Placido Domingo, appunto, accompagnato da un’ imponente applauso a scena aperta al suo ingresso, rimane un fenomeno nonostante l'età (nato nel 1941), nonostante una voce che non ha più lo squillo di qualche anno fa (anche quando stava già cantando le parti di baritono), ma che ha il colore, l’impasto, la nobiltà di un Germont. È un mito vivente a cui perdoneremmo tutto : ma proprio non c'è nulla da perdonare, perché con questo timbro, anche se tenorile (non appena escono gli acuti, sentiamo il Domingo tenore di una volta, questa voce unica a cui nel 1976 dopo i suoi primi Otello certi non davano più di due anni di carriera (!), è ancora affascinante. Di sicuro c'è meno proiezione, ma c'è il fraseggio, c'è l'espressione, c'è la straordinaria umanità di un canto che continua a stupire : la sua scena con Violetta è sconvolgente perché non cerca di imporsi, è quasi supplicante, quasi sottomesso alla stessa Violetta sconvolta. Una scena di antologia, non dalla "tecnica" del canto, ma dall'incontro di due artisti che sanno esprimere l'emozione, e che riescono a incontrarci e far sorgere le nostre lacrime.

Vittorio Grigolo (Alfredo) Placido Domingo (Germont)

Di fronte all’Alfredo di Grigolo, questa voce di tenore canta Di Provenza il mar con un fraseggio unico, con una vera emozione, nata non dallo stile ma dall'estrema naturalezza dell'espressione. Non c'è nulla di artificiale, e avere due generazioni di tenori faccia a faccia è qualcosa di affascinante : al canto squillante di Grigolo alla fine del quadro risponde il tono stanco e deluso di Domingo. L'opposizione padre-figlio non aveva mai avuto tanto senso.
L'unico momento in cui lo abbiamo sentito un po' in difficoltà è la replica finale del primo quadro non udrai rimproveri , anche tagliata a volte, perché di colore più baritonale, non ha la chiarezza che precede, ma è ben poco di fronte all’interpretazione complessiva.

Questa è una serata in cui l'emozione è stata tanto più forte quando abbiamo sentito una Traviata vera, semplice, senza fronzoli, e senza mai cadere in piagnistei, di immensa dignità, di grandissima qualità, travolgente, che lascia una sensazione di pienezza. Una di quelle serate che contano nella vita dell’amante della lirica.

Lisette Oropesa (Violetta) nel primo atto.
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