Programma

Nikos Skalkottas (1904–1949)
Kleine Suite / für Streichorchester

Wolfgang Amadeus Mozart (1756–1791)
Konzert für Klavier und Orchester B‑Dur KV 595

- Intervallo -

Sergej Prokofjew (1891–1953)
Alexander Newski / Kantate für Mezzosopran, Chor und Orchester op. 78

Staatskapelle Berlin
Chor der Staatsoper Unter den Linden Berlin

Anita Rachvelishvili Mezzosopran
Klavier und Dirigent Daniel Barenboim

Amburgo, Elbphilharmonie, 15 maggio 2019

Dal 27 aprile al 29 maggio all’Elbphilharmonie si è svolto il Festival Internazionale di Musica di Amburgo, che è la punta di diamante della programmazione della nuova sala da concerti della città anseatica, che comunque offre proposte di alto livello anche negli altri periodi dell’anno, con l’ovvia esclusione del riposo estivo, a dire il vero alquanto lungo, con uno stop totale dall’8 luglio al 4 agosto e poi ancora un altro mese di attività ridotta.

Staatskapelle Berlin e coro della Staatsoper di Berlino alla Elbphilharmonie di Amburgo il 15 maggio scorso

Tra le altre proposte, il festival offriva la possibilità di ascoltare alcune grandi orchestre ospiti, come la Staatskapelle Berlin, l’orchestra titolare della Staatsoper di Berlino. In Italia siamo abituati a considerare di seconda categoria le nostre orchestre d’opera, spesso ingiustamente, ma non è così nell’area austro-tedesca, dove alcune delle migliori orchestre sono proprio quelle dei teatri : solo per fare alcuni esempi, tutti i Wiener Philharmoniker sono elementi dell’orchestra dell’Opera di Vienna, la Staatskapelle Dresden suona alla Semperoper, la migliore delle tre ottime orchestre di Monaco di Baviera è considerata quella dell’Opera, non per nulla la preferita da Carlos Kleiber per le sue tournée.

Questa premessa per dire che ero preparato ad ascoltare una buona orchestra, ma la Staatskapelle Berlin è andata oltre le previsioni. Ovviamente era determinante la presenza sul podio di Daniel Barenboim, che guida quest’orchestra da quasi trent’anni, dal 1992 come Generalmusikdirektor della Staatsoper di Berlino e dal 2000 come Chefdirigent a vita : l’ha presa nelle sue mani appena due anni dopo la riunificazione tedesca e sembra proprio che abbia voluto coltivare le caratteristiche sonore che quest’orchestra come altre dell’Europa centrorientale ha conservato fino ad oggi, proprio grazie all’isolamento in cui sono state costrette per quasi mezzo secolo.

La qualità della Staatskapelle Berlin che più colpisce è la particolare luminosità del suono, che non è solare e squillante, ma ha una patina antica, come quella stesa dal tempo sulle dorature, che i restauratori (e le orchestre moderne) rendono talvolta troppo luccicanti. Una qualità che, più che nei pezzi moderni di Skalkottas e Prokof’ev, si è avvertito soprattutto nel Concerto n. 27 in si bemolle maggiore K 595 per pianoforte e orchestra di Mozart, l’ultimo di quella prodigiosa serie. Secondo alcuni musicologi la versione giunta a noi non è completa in tutti i dettagli, perché Mozart, forse per la fretta (ma vi dedicò quasi due mesi, moltissimo per le sue abitudini) o forse perché scoraggiato dal decrescente successo dei suoi Concerti (ma è un’interpretazione romantica), mise per iscritto solamente un abbozzo per il solista, che egli avrebbe poi completato a mente al momento dell’esecuzione. Sappiamo che effettivamente Mozart, come tutti i solisti del tempo, aggiungeva variazioni e abbellimenti improvvisati, ma che la parte pianistica del K 595 sia soltanto una traccia per l’interprete è un’ipotesi senza fondamento, un equivoco causato dalla grande semplicità di questo Concerto, che nei suoi primi due movimenti appare quasi provocatoria, quasi una sfida. Ma non è affatto una musica “ingenua” o “insidiata da una certa intima stanchezza” o “una marcia indietro” verso “la facilità dei primi modelli”, come può capitare di leggere. Questa musica non è semplice, ma rarefatta, decantata, astratta. L’eliminazione quasi totale delle scale e degli altri passaggi decorativi e virtuosistici che abbondano nei precedenti Concerti di Mozart – e che sono ovviamente una pura meraviglia – non è una rinuncia ma una scelta a favore dell’essenzialità e del superamento di tutto ciò che non è strettamente necessario. Ne nasce una musica distaccata dalle cose di questo modo, come incantata nella contemplazione della pura, assoluta bellezza. Una musica venata di malinconia e di rassegnazione ma sostanzialmente serena. Così è la musica del periodo estremo di alcuni grandi compositori, anche se ancora giovani, come Mozart.

Barenboim sedeva al pianoforte, limitandosi a dare alcune indicazioni essenziali all’orchestra, e ne è nata un’esecuzione cameristica nel senso autentico della parola. Certe volte le orchestre, quando suonano senza direttore, cercano egualmente di suonare come se avessero un direttore davanti agli occhi, per dimostrare la loro compattezza e la loro bravura, ma non questa volta. I musicisti si ascoltavano l’un l’altro, intessevano un vero dialogo e, non dovendo limitarsi a seguire passivamente la bacchetta, erano molto più partecipi, coinvolti, reattivi di quel che normalmente si sente. Il suono degli archi aveva una totale trasparenza : ma non era la trasparenza translucida e un po’ fredda di tanto Mozart moderno, era una trasparenza che nasceva dalla precisione, dall’accuratezza, dalla delicatezza, dalla fluidità, dall’eleganza. Tutto questo era ancor più evidente per quanto riguarda gli strumenti a fiato, anche grazie al loro numero ridottissimo : un flauto e coppie di oboi, fagotti e corni. Tra loro s’instauravano ampi e calibratissimi dialoghi e rapide e serrate botta e risposta, come può avvenire solo tra musicisti che da anni sono abituati a suonare gomito a gomito e che finalmente possono dialogare liberamente e non sono obbligati a seguire come soldatini il direttore. E che suono ! Puro, delicato, intimo, senza alcuna esibizione di compiaciuta bellezza sonora fine a se stessa.

Si deve pensare che la presenza di Barenboim fosse determinante ai fini di questo risultato, perché sicuramente durante le prove avrà consigliato i suoi musicisti e li avrà indirizzati verso il risultato che egli aveva in mente. E poi, naturalmente, ha suonato il pianoforte, proponendosi come un primus inter pares e non come la star della serata. Barenboim è un musicista prima che un pianista. Anzi, in tempi recenti ha talvolta evidenziato notevoli lacune tecniche come pianista, che da giovane non aveva. Ma in questo caso, complice l’assenza di grandi difficoltà nella parte pianistica, non ci sono stati inciampi. Era molto bello il suono : non il suono miracolosamente limpido che alcuni pianisti esibiscono in Mozart e che era impossibile ottenere sui fortepiano dell’epoca, ma un suono quasi dimesso, eppure perfettamente curato, con il giusto colore, le giuste e sempre contenute sfumature dinamiche, il giusto fraseggio. Solista e orchestra rendevano perfettamente sia la trasparenza della forma e la magica leggerezza che la recondita e inafferrabile complessità espressiva di questo Concerto e il risultato era un puro incanto.

Prima di Mozart, era stato proposto Nikos Skalkottas, il primo compositore ad aver inserito la Grecia nel flusso della musica europea del Novecento, ma oggi raramente eseguito. Barenboim ha scelto la Piccola Suite per orchestra d’archi, composta nel 1942, quando Skalkottas era tornato in Grecia dopo gli studi con Schoenberg a Berlino e, per farsi accettare dall’ambiente locale piuttosto conservatore, alternava alla dodecafonia uno stile più abbordabile, come nel caso di questa Piccola Suite, che è piuttosto una Sinfonietta nei tre classici movimenti Allegro-Andante-Allegro assai. Il riferimento alla forma classica è chiaro, ma le somiglianze col neoclassicismo finiscono qui. Questo non è un calco di Bach o di Mozart o di Rossini o di qualsivoglia altro autore, ma un brano originale e libero, basato su idee tematiche interessanti e in continua trasformazione e su armonie aspre ma non inestricabili, che mantengono sempre desta l’attenzione dell’ascoltatore. Tutto è tenuto insieme da una solida logica compositiva. Insomma Skalkottas si rivela un autore di notevole livello, di cui ascolteremmo volentieri altre opere. Anche qui gli archi della Staatskapelle e Barenboim hanno dato un’ottima prova.

Daniel Barenboim e Anita Rachvelishvili

Invece era un po’ deludente l’Aleksandr Nevskij di Prokof’ev, un autore che non è sembrato essere totalmente nelle corde di orchestra e direttore. L’orchestra ha suonato correttamente, ma non ha trovato il suono d’acciaio e i ritmi taglienti che caratterizzano molte parti di questa cantata tratta dalla musica per il film di Sergej Eisenstein, anzi ne ha arrotondato le spigolosità, senza dubbio su richiesta del direttore. Benissimo “Il campo della morte”, grazie anche al magnifico intervento del mezzosoprano Anita Rachvelishvili, nella cui voce dolore e dolcezza si univano inestricabilmente. Bene anche la vivacità e la confusione all’inizio del quarto movimento, che raffigura i contadini russi che prendono le armi con entusiasmo e quasi con allegria per difendere la loro terra. Viceversa il coro, per quanto numeroso, non produceva il volume di suono per rendere pienamente la superbia e la protervia del canto implacabile dei Crociati a Pskov. E in generale si poteva fare di più laddove sarebbero stati necessari dinamismo e tensione drammatica, come nella “Battaglia sul ghiaccio”.

Prevedibile il grande successo di pubblico, ma prima di concludere è il caso di sottolineare la concordia che sembra regnare tra l’orchestra e il suo direttore, nonostante le polemiche sul carattere e i comportamenti di Barenboim che si sono recentemente lette sulla stampa tedesca e internazionale. Probabilmente questo non sarà privo di future conseguenze (si dice che il contratto di Barenboim non verrà rinnovato), ma al momento di suonare tutti mettono da parte i contrasti personali e pensano solo a far musica.

Daniel Barenboim e le forze della Staatsoper unter den Linden di Berlino alla Elbphilharmonie di Amburgo

 

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Mauro Mariani
Mauro Mariani ha scritto per periodici musicali italiani, spagnoli, francesi e tedeschi. Collabora con testi e conferenze con importanti teatri e orchestre, come Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, Maggio Musicale Fiorentino, Fenice di Venezia, Real di Madrid. Nel 1984 ha pubblicato un volume su Verdi. Fino al 2016 ha insegnato Storia della Musica, Estetica Musicale e Storia e Metodi della Critica Musicale presso il Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma.

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