Gaetano Donizetti (1797–1848)
La Favorite (1840)

Grand-opéra in quattro atti

Libretto di Alphonse Royer, Gustave Vaëz  e Eugène Scribe

Direttore Francesco Lanzillotta     
Regia Allex Aguilera
Scene e costumi Francesco Zito
Luci Caetano Vilela
Coreografia Carmen Marcuccio
Assistente alle scene Antonella Conte
Assistente ai costumi Ilaria Ariemme

Léonor             Sonia Ganassi 
Ines                  Clara Polito
Fernand          John Osborn 
Alphonse         Simone Piazzola 
Balthazar       Marko Mimica 
Don Gaspar   Blagoj Nacoski
Un seigneur   Carlo Morgante

Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo
Nuovo allestimento del Teatro Massimo

Palermo, Teatro Massimo, 28 febbraio 2019

Se la fantasia non è al potere nei cartelloni francesi per quanto riguarda l’opera romantica e l’età del belcanto, in Italia e Germania La Favorite ha giustamente i favori dei grandi Enti, come l’Opera di Monaco di Baviera (con Garanča in una bella produzione di Amelie Niermeyer, disponibile in DVD) o l’Opera di Firenze ancora recentemente (anch’essa disponibile in DVD). L’Opéra di Marsiglia nel 2017 ne ha comunque proposto una versione in forma di concerto. Nulla da segnalare all’Opéra di Parigi, per la quale La Favorite venne composta e che nel suo repertorio non ha che quattro titoli di Donizetti di cui tre opere buffe…  In questa stagione il Teatro Massimo di Palermo propone una propria produzione, con un gruppo di cantanti particolarmente valido e ben diretto, di questo Grand Opéra del 1840.

Scena prima (©FL)

Passa molta acqua sotto i ponti di Palermo. Il Teatro Massimo propone produzioni sempre centrate dal punto di vista musicale, perché in questo maestoso teatro un po’ lontano dai riflettori internazionali, i cantanti possono mettere a punto ruoli senza eccessivi rischi e in condizioni impegnative (la sala è molto vasta) come quelle dei più prestigiosi teatri internazionali. Sicuramente non si può dire che gli allestimenti siano altrettanto interessanti dal punto di vista scenico, ma d’altronde il pubblico italiano è piuttosto tradizionalista e mal supporta una messa in scena "moderna", e va giustamente detto che La Favorite non si presta necessariamente all’estro di un Tcherniakov o di un Warlikowski. Almeno in linea di principio……

Il tema del trattamento della figura femminile in questo tipico melodramma dell'epoca ha qualcosa di terribile e illustra perfettamente il saggio di Catherine Clément L’Opera lirica o la disfatta delle donne ((Catherine Clément, L’Opera lirica o la disfatta delle donne, Marsilio editori 1979)), che stranamente ignora questo esempio piuttosto emblematico.

Léonor è la favorita del re Alfonso XI, è innamorata del giovane Fernand, che ne è anche lui follemente innamorato e perciò il superiore Balthazar lo caccia dal convento dove fa il noviziato. Si vedono in segreto (non è così chiaro in un libretto non chiarissimo) su un'isola dolce come il paradiso, ma lei non osa dirgli che è la “puttana del Re”. Essere la favorita del Re corrisponde ad essere una sorte di prostituta ufficiale, è quindi meglio per lei nascondere la verità.
Il Re scopre questo amore e con magnanimità, lascia che Léonor sposi Fernand. Magnanimità ? Macchè ! Si vendica, ben sapendo che questo matrimonio è un disonore per il giovane. Ricopre pertanto Fernand di onori più del dovuto, senza che ne sappia la ragione.

Marko Mimika (Balthazar) (©RG)

Ma Balthazar vigila. La sua carità cristiana accusa il re ma al tempo stesso svela pubblicamente a Fernand chi sta per sposare. Quest’ultimo, terrificato, non vuol più vederla, restituisce gli onori e torna in convento.

Ad una Léonor, abbandonata dal Re e dal promesso sposo, non resta che la morte. Prima del momento estremo, cerca di rivedere Fernand nel convento un'ultima volta per riceverne il perdono, arriva il giorno dei voti definitivi. Dopo qualche esitazione, rifiuti e insulti, Fernand la perdona, ella può così morire felice e perdonata tra le sue braccia. Vita da donne….

L'opera, messa in scena nel 1840 all'Opéra di Parigi, su libretto di Alphonse Royer, Gustave Vaëz e parzialmente Eugène Scribe, trae ispirazione da un dramma in versi in tre atti pubblicato nel 1790 : "Gli sfortunati amanti o il Conte di Comminges" di François-Thomas-Marie Baculard d'Arnaud (1718–1805) e riprende in particolare la musica e la trama de L'Ange de Nisida, un'opera  di Donizetti in programma per il Théâtre de la Renaissance lo stesso anno. Questo teatro, a gestione privata, andò in bancarotta e l'Opera di Parigi colse l'occasione per ordinare a Donizetti un Grand Opéra : questo che componeva molto velocemente, riutilizzò il materiale di L'Ange de Nisida per adattarlo ne La Favorite nello stile del Grand Opéra, inserendovi ovviamente compreso un (lungo) balletto obbligatorio per le scene parigine.

La Favorite ha così le caratteristiche di un Grand Opéra, un dramma storico che ruota intorno a Alfonso XI di Castiglia, con lo sfondo di conflitti tra la monarchia di Castiglia e la Chiesa, e dei combattimenti contro i Mori (chiuse l’accesso da Gibilterra), e che preferì nella vita privata molto rapidamente la sua amante Léonor de Guzmán a sua moglie, che ebbe una dozzina di figli illegittimi, dotandoli di ricchi patrimoni. Musicalmente, la prima parte è forse più brillante e superficiale, e la seconda più tesa, si direbbe più nera (il quarto atto è emblematico di questo cambiamento piuttosto radicale d’umore) e vi è quindi nell’opera un'eterogeneità piuttosto difficile da gestire richiede al direttore una grande attenzione per riuscire ad unificare il tutto.

La messa in scena di Allex Aguilera lo è solo nominalmente. È una rappresentazione del libretto che vale più per le belle scenografie di Francesco Zito, fatto di sontuose tele dipinte (l'alta qualità dei laboratori del Teatro Massimo è un pregio non trascurabile) e immagini riconducibili a quelle delle illustrazioni del diciannovesimo o nelle tele dell’epoca, piacevoli a vedersi (con costumi piuttosto rinascimentali che medievali). Tre quarti del lungo balletto vengono rappresentai (corretta la coreografia di Carmen Marcuccio), ma è meglio non cercare altro che una semplice rappresentazione. Nessuna interpretazione, nessuno scavo sui personaggi e sulle loro relazioni, ognuno è lasciato a sé stesso : ha il merito di non porre troppi dubbi ma almeno di lasciarsi guardare.

Tutt’altra vita dal punto di vista musicale.

I cast messi a punto (ve ne sono due) garantiscono un livello più che apprezzabile a questa serie di recite. Il 28 febbraio erano in palcoscenico Sonia Ganassi (che si alternava nel corso delle recite con Raehann Bryce-Davis), John Osborn (in alternanza con Giorgio Misseri), Simone Piazzola (con Mattia Olivieri), Marko Mimika (con Riccardo Fassi).

Il sistema del doppio cast, più abituale in Italia che in Francia, consente sia di mettersi al riparo da incidentali problemi di salute, sia di offrire la possibilità a cantanti giovani e meno conosciuti di mettersi in luce, garantendo in più una fitta serie di spettacoli  (sei rappresentazioni in dieci giorni) senza far crescere troppo i costi.

In questo tipo di repertorio, così tipicamente italiano, rappresentare l’opera nella lingua originale francese (cosa sempre più frequente in Italia), comporta la necessità di ricercare ciò che rende il carattere specifico della versione francese (come per il Verdi francese), una maniera particolare di fraseggiare, una maggiore delicatezza, una dizione chiara e comprensibile, un particolare controllo del volume. Bisogna ammettere che a questo riguardo, con una sola eccezione, la distribuzione ne esce con tutti gli onori. Per il resto, tutti sono all'altezza sia per la qualità della proiezione vocale sia dell'intensità, pur in una sala così ampia ed alta.

L'isola idilliaca : Clara Polito (Inès) (©FL)

Il livello complessivo della distribuzione si definisce anche per la qualità dei ruoli complementari, qui elevato, sia per la presenza di Blagoj Nacoski come Don Gaspar sia per la Inès molto carina di Clara Polito, la cui voce chiara e ben emessa apre con eleganza il secondo quadro (l'isola) del primo atto, una specie di idilliaca e felice immagine d'amore (che Verdi ricorderà forse all'inizio del secondo atto di Don Carlos con la comparsa di Eboli).

John Osborn (Fernand) Simone Piazzola (Alphonse) (©FL)

Simone Piazzola, che interpreta il re Alphonse XI, è un baritono di valore che sta facendo una bella carriera in Italia e all'estero ; la voce è ben proiettata in sala, il volume è sotto controllo, interpreta il personaggio con eleganza senza scadere nella volgarità che affligge talvolta l’interpretazione di qualche baritono. Piazzola disegna un carattere potente, sostenuto da un canto non privo di eleganza. Per la versione italiana sarebbe l’ideale.
Ma qui si tratta della versione francese. E Simone Piazzola canta Alphonse come se si trattasse di cantare l’Alfonso dalla versione italiana, il fraseggio e lo stile sono italiani perché canta il francese all’italiana, purtroppo con una pronuncia fallosa che sacrifica i suoni nasali (per esempio « onnté » invece di honte …), cosa che infastidisce certamente l’ascoltatore francese più che il non francofono, e che non rende giustizia alla necessità di uno stile che richiederebbe tutt’altri colori e tecnica. E’ un vero peccato perché la voce è senza ombra di dubbio di buona qualità

Marko Mimica nel ruolo di Balthasar non ha questo problema : il suo francese è chiaro, impeccabile, ben proiettato e di bel portamento. Questo giovane basso-baritono è stato parte dei complessi stabili della Deutsche Oper di Berlino : la scuola dei complessi è anche una scuola del repertorio, e la performance è davvero a fuoco. In Balthasar, avremmo desiderato tuttavia una voce più oscura e profonda (Ghiaurov ha cantato e registrato il ruolo). Se gli acuti e il registro centrale sono esenti da pecche, è pur vero che il ruolo richiede una voce più sepolcrale, gravi più profondi e un tono più vario. Detto questo, il personaggio è ben realizzato e questo artista merita di essere seguito con attenzione per questa prova di valore.

John Osborn (Fernand) (©RG)

Non serve presentare John Osborn, che è ormai uno specialista dei ruoli tenorili romantici francesi, dal Léopold nella Juive di Halévy al Benvenuto Cellini di Berlioz, passando attraverso l’Arnold del Guillaume Tell di Rossini. Il suo Fernand è già da antologia : un francese impeccabile, con tutte le sfumature richieste, un'incredibile chiarezza nella dizione, una sicurezza granitica, una fluidità dei passaggi sorprendente grazie ad un'insolita omogeneità vocale : canto controllato ed espressivo a tutti i livelli. A completare il quadro, su richiesta di un pubblico delirante, ha acconsentito a bissare la sua aria del quarto atto " Ange si pur ", concedendosi il lusso di variare tra la prima e la seconda versione. Senza commenti, semplicemente straordinario.

A una settimana di distanza ascoltare Michael Spyres (Il Pirata a Ginevra, la prossima stagione a Parigi) e John Osborn in ruoli così impegnativi del repertorio belcantistico cantare con una tale perfezione mostra anche ancora una volta la qualità della scuola americana in merito a preparazione tecnica, soprattutto per dizione e fraseggio.

Sonia Ganassi (Léonor) (©RG)

Sonia Ganassi ha interpretato il ruolo di Léonor. Il mezzosoprano italiano è stato a lungo considerata tra le eccellenze dei mezzosoprani rossiniani (da Rosina a Cenerentola e da Cenerentola a Rosina). Per uscire da questa catalogazione, Ganassi ha ampliato il suo repertorio (ricordiamo ad esempio la sua Eboli nella produzione di Don Carlos di Peter Kontwitschny a Barcellona, dove non era necessariamente previsto tale esito). La tecnica, tuttora padroneggiata con sicurezza, e il controllo vocale le hanno permesso di affrontare tutti i ruoli di Bel Canto, come pure una Santuzza da un repertorio completamente diverso (al Teatro Massimo di Palermo, l'anno scorso), una Santuzza più controllata e meno viscerale di quella cui siamo abituati. È un'artista magnifica, molto regolare e molto spesso impeccabile. Ganassi non è mai sopra le righe, non è la cantante dei fuochi d'artificio, si appoggia su una tecnica solida, un'intelligenza nella lettura dei testi e una vera musicalità che le garantisce di affrontare in sicurezza i ruoli cui si avvicina .

John Osborn (Fernand) Sonia Ganassi (Léonor) nell'ultimo atto (©FL)

Così accade per la sua Léonor, a cui non vi è nulla da rimproverare, presenza scenica e vocale, chiara dizione francese, senso drammatico. Un canto controllato, ornato, dagli acuti pieni e ricchi, una omogeneità in tutto il registro grave sontuoso, centro ampio e acuti sicuri. Ecco una grande artista che non delude mai, che ispira assoluta ammirazione per un lavoro sempre ben fatto e notevolmente equilibrato. Il suo "O mon Fernand" è particolarmente riuscito per il canto interiorizzato mai teso, la sua espressività e tutto il suo ultimo atto è letteralmente sconvolgente.

Il coro del Teatro Massimo, preparato da Piero Monti, è stato all'altezza del compito, con un francese comprensibile, una bella omogeneità e un volume sempre controllato in questa sala dove si tenderebbe a forzare per farsi udire.

Il merito va anche al direttore Francesco Lanzillotta, il giovane maestro che sta cominciando a farsi notare in Italia e all'estero (Wanderer lo ha notato al Macbeth di Zurigo).

Il suo approccio a La Favorite – opera difficile – è notevole : non rinuncia mai alla tensione, ma con un senso di dettaglio, rotondità, un ritmo ritenuto (ci aspetteremmo, comunque, a volte più nervoso) e soprattutto una cura nel seguire il canto al fine di non coprire mai alcuna voce, attento verso la comprensione del testo, la tenuta degli equilibri, con momenti di particolare delicatezza : il preludio dell'ultimo atto è in questo senso notevole. Anche il balletto è diretto in maniera fluida ed elegante, senza mai diventare volgare. In un repertorio in cui il canto ha la supremazia sul resto, Lanzillotta impone l'orchestra come protagonista e non un servizio alle voci, e questo ne fa un direttore interessante. L'orchestra lo segue quasi senza imprecisioni (alcune piccole debolezze nella sezione degli ottoni) con una bella qualità del suono e una particolare nitidezza.

Considerate le difficoltà che attraversano le istituzioni culturali italiane, non possiamo che rallegrarci nel vedere un teatro a pieno regime, con complessi di qualità, sostenere le ragioni di un repertorio difficile da mettere in scena, ad un livello che può competere con quello di grandi teatri di più gran nome. Una serata molto bella.

 

Autres articles

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire !
S'il vous plaît entrez votre nom ici