Programma

Arnold Schönberg (1874–1951)
Concerto per violino e orchestra, op. 36
1. Poco allegro – vivace
2. Andante grazioso
3. Finale. Allegro

P.I. Ciaikovskij (1840–1893)
Sinfonia Nr. 5 in mi minore, op.64
1. Andante – Allegro con anima
2. Andante cantabile, con alcuna licenza
3. Valse : Allegro moderato
4. Finale : Andante maestoso – Allegro vivace – Moderato assai e molto maestoso – Presto – Molto meno mosso

Patricia Kopatchinskaja, violino
Berliner Philharmoniker

Kirill Petrenko, Direttore

Berlino, Philharmonie, 9 marzo 2019

Trionfale concerto alla Philharmonie di Berlino per l’ultima occasione da direttore incaricato di Kirill Petrenko, che da agosto assumerà a tutti gli effetti la direzione dei Berliner Philharmoniker, quattro anni dopo la nomina a successore di Sir Simon Rattle.
Nella prima parte la presenza di Patricia Kopatchinskaja al violino nel concerto di Schönberg incanta la sala, in un dialogo virtuosistico con l’orchestra. Dopo l’intervallo una memorabile, energica esecuzione della Quinta sinfonia di Ciaikovskij trascina il pubblico.

Arthur Nikisch((Lébény Szentmiklós, Ungheria, 1855 – Lipsia, Germania, 1922)) fu il terzo direttore stabile della giovane Filarmonica di Berlino dal 1895 al 1922, succedendo ad Hans von Bülow e lasciando il podio, alla sua morte, alle cure di Wilhelm Furtwängler. Con i suoi Berliner Philharmoniker, Nikisch diresse la prima incisione integrale di una sinfonia, la Quinta di Beethoven.
Arthur Nikisch era Der Magier((trad. Il Mago)): non era alto di statura ma narrano le cronache che sul podio apparisse come un gigante, non aveva bisogno di una gestualità scomposta o particolarmente estroversa per far sentire al centro dell’attenzione l’ultimo degli orchestrali, non vantava una formazione personale di particolare spessore ma mostrava di possedere infallibile istinto musicale al punto da essere elevato in più di una occasione al rango di co-autore del titolo che dirigeva, quasi lo avesse fatto conoscere per primo al pubblico nella veste in cui sarebbe divenuto famoso.
Arthur Nikisch era soprattutto adorato dalle sue orchestre : la sua presenza era garanzia che in concerto ogni singolo musicista avrebbe dato sino all’ultima goccia di sudore per lui, come si fosse trattato dell’ultimo concerto della vita((liberamente tratto da Arthur Nikisch, Leben und Wirken, Berlin 1922)).

È ragionevole pensare che i punti di contatto tra Arthur Nikisch e Kirill Petrenko siano piuttosto casualità ma è bello immaginare che le stesse emozioni trovino nuovamente spazio : uscendo dalla Philharmonie di Berlino dopo l’ultimo concerto diretto nell’auditorium di casa con il titolo di direttore incaricato((la scelta di Petrenko come successore di Sir Simon Rattle è stata fatta nel giugno 2015 ma da quel momento, per via dei precedenti impegni alla Bayerisches Staatsoper di Monaco, poco è stato il tempo residuo per il nuovo incarico, per cui solo con la stagione 2019/2020 il direttore russo inizierà a svolgere effettivamente i suoi compiti di direttore principale)) negli occhi restano le immagini di questi musicisti che, tutti insieme, nell’ultimo movimento della quinta sinfonia di Ciaikovskij scaricano la tensione musicale accumulata nella serata, letteralmente danzando sulle loro sedie e guardandosi reciprocamente con soddisfazione.
Rimane la sensazione di aver ascoltato un concerto rivelatore di una armonia scoccata tra un direttore e la “sua” orchestra, che si estende in maniera contagiosa al pubblico rapito per l’intero concerto, sino ad un finale tirato allo spasimo che prelude ad un fragoroso, tempestoso applauso.

Partendo dal fondo : tutta la sala in piedi al termine della Quinta sinfonia di Ciaikovskij

Abbiamo già reso conto((https://wanderer.legalsphere.ch/it/2018/11/petrenko-sul-lago-ma-non-e-vacanza/)) del Concerto per violino e orchestra di Arnold Schönberg nell’esecuzione della violinista Patricia Kopatchinskaja sotto la bacchetta di un ispiratissimo Petrenko.

Analogamente a quanto fece nel 2018 con il terzo concerto per pianoforte e orchestra di Sergei Prokofiev con la solista Yuja Wang, più volte tornato in cartellone dopo l’iniziale ciclo con la Israel Philharmonic((i due furono impegnati in una importante tournee in Israele, con ripetuti concerti a Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa di cui Wanderer ha parlato in https://wanderer.legalsphere.ch/it/2018/02/petrenko-in-israele/ per ritrovarsi in seguito con tre concerti a Berlino, e a fine estate a Salisburgo, Lucerna e Londra)), Petrenko, dopo i tre concerti del Nationaltheater di Monaco e la trasferta a Lugano dello scorso ottobre, ritrova alla Philharmonie una ideale intesa con la violinista moldava, come sempre spontanea e coinvolgente nei modi ancor prima che nell’espressività musicale((già è stato annunciato il medesimo programma a Baden Baden in aprile e in estate a Salisburgo, Lucerna, Bucarest)).

A proposito del concerto di Schönberg avevamo in precedenza ammirato la capacità di restituirci una musica viva, appassionante, lontana dallo stereotipo del cerebralismo e dei luoghi comuni sulla composizione seriale. Per la coppia protagonista il lirismo e la teatralità costituiscono la chiave interpretativa di questa pagina così complessa.
In questa occasione, con il supporto dei Berliner, un vero e proprio gruppo di straordinari solisti perfettamente integrati, il disegno è portato al limite estremo giungendo ad esiti rivelatori.

Il canto del violino si integra e dialoga alla pari in momenti di vera musica da camera alternati a prepotenti esplosioni sonore di tutta l’orchestra, continuamente cangiante di colori, dal canto sospeso e funereo con cui inizia il Poco allegro del primo movimento al brutale e militaresco Poco più mosso del terzo, dalla misura 523, passando per un Andante grazioso dal sapore mahleriano.

Ascoltare questo capolavoro di Schönberg diventa così un viaggio in cui scoprire anfratti dall’apparente semplicità di un concerto per violino di Mozart, altri in cui sembra riecheggiare l’impeto appassionato ma fiero del concerto di Beethoven, momenti in cui colpisce la ricerca di un colore orchestrale come si trattasse del concerto di Brahms.

Una tale unità d’intenti non sarebbe stata possibile senza la presenza, oltre che del caleidoscopico violino di Kopatchinskaja caratterizzato da suoni gravi corposi e acuti taglienti, di una orchestra così ispirata tra cui ricordare almeno il clarinetto di Andreas Ottensamer, il flauto di Mathieu Dufour, il fagotto di Stefan Schweigert.

Omaggio floreale per Kopatchinskaja.

“Dopo aver diretto la mia nuova Sinfonia, due volte a Pietroburgo e una volta a Praga, mi sono convinto che essa è mal riuscita. V'è in quest'opera qualcosa di sgradevole, una certa diversità di colori, una certa insincerità, un certo artificio. Pur senza rendersene conto il pubblico lo sente.” ((da una lettera del 2 dicembre 1888 alla mecenate Nadežda von Meck))                                                                                                                                                                   P.I.Ciaikovskij

La fortuna della Quinta sinfonia di Ciaikovskij, nonostante il giudizio ondivago e a tratti sconsolato del suo autore, si sarebbe presto affermata ovunque, superando in breve quella della precedente sinfonia((guarda caso ma fu lo stesso Nikisch a metterla in cartellone il 14 ottobre 1895 per il suo primo concerto da direttore stabile coi Berliner gettando le basi per la definitiva consacrazione dell’opera in Europa occidentale)).
Pienamente meritato l’applauso che il pubblico della Philharmonie ha tributato al termine di una intensissima lettura a Kirill Petrenko ed ai suoi musicisti la sera del 9 marzo, dopo una interpretazione che neanche per un momento ha lasciato spazio a ciò di cui l’autore si rammaricava : quanto di artificioso vi possa essere in partitura sparisce davanti ad una direzione che esalta la naturalezza della musica, trasformandola in un flusso che quasi per caso ci avvolge con un ingresso in punta di piedi ma che in un attimo si impadronisce della nostra attenzione.

La direzione di Petrenko rifugge l’eccesso di enfasi e sentimentalismo, che pure si potrebbero ritrovare sparsi a piene mani, concentrandosi piuttosto sulla precisione delle dinamiche, nette dal pianissimo al fortissimo, con una tenuta ritmica rigorosa.

I clarinetti che aprono l’Andante arrivano con un piano senza enfasi facendo un ingresso sottovoce, la continuazione di un discorso già in atto e solo gli sforzati otto misure dopo A fanno presagire l’avvio del racconto : la marcia dell’Allegro con anima si avvia con un morbidissimo ppp degli archi che si anima poco a poco senza perdere in eleganza e brillantezza. Tutto il primo movimento è condotto con naturalezza ed eleganza, passando per un Molto più tranquillo dove gli archi si lanciano morbidamente in un cantabile senza tensioni.

La perfezione della concertazione non lascia spazio a cedimenti, basti ad esempio citare la nettezza con cui le viole prima e i violini immediatamente staccano le prime due note del disegno che segue l’ingresso dei corni dopo K.

Il movimento si spegne così, dissolvendosi in ppp come era cominciato, ricollegandosi idealmente allo spirito iniziale con la musica che si spegne morbidamente, quasi in maniera inattesa, segnata dall’intervento dei fagotti.
La naturalezza che aveva contraddistinto il primo movimento ritorna nell’Andante cantabile, con alcuna licenza con il celebre solo del corno che sembra guardare con sereno, appagato distacco alle passioni umane, con il controcanto agrodolce dell’oboe di Jonathan Kelly, prima del nobile intervento degli archi alla lettera B. In maniera unitaria con il precedente, ripristinando la serenità iniziale, il movimento si chiude con il sospiro di uno splendido pppp dei clarinetti.

Con la stessa naturalezza con cui la direzione di Petrenko aveva lasciato fuori dalla porta nei primi movimenti l’eccessivo sovraccarico di emozioni, il direttore ci conduce in un valzer Allegro moderato a tratti sbilenco e dissacrante, con fagotti dagli interventi timidamente claudicanti e ottoni sardonici, prima che gli archi ristabiliscano le cose al loro posto.

Al termine di questo viaggio, il Finale maestoso, che aveva destato perplessità nello stesso Ciaikovskij per il carattere nettamente diverso da quello delle pagine precedenti, appare per una volta più credibile nella veste di conclusione di un percorso più energico che tragico.
Petrenko trascina l’orchestra in un assalto all’arma bianca tra momenti degni di un corale religioso e tempeste sonore, sino alla maestosa marcia finale su cui, come detto, si scatena in un tempestoso applauso la tensione accumulata dal pubblico.
Oltre ogni lode tutta l’orchestra, dai legni agli ottoni, sino a tutte le sezioni degli archi che neppure nei momenti più complessi del finale smarriscono la perfezione di un suono abbagliante per legato, splendore e potenza.

Al termine, dopo l’omaggio alle diverse sezioni e all’intero gruppo, ripetute chiamate per il direttore ormai rimasto solo sul palco a ricevere i ringraziamenti della sala.

L’ultimo applauso per il direttore al termine del concerto.

 

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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.

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