Programma

Franz Schubert (1797–1828)

Winterreise op. 89 D 911
(Viaggio d’inverno)

Ciclo liederistico su liriche di Wilhelm Müller

Baritono                Christian Gerhaher
Pianoforte            Gerold Huber

 

 

Milano, Teatro alla Scala, lunedì 14 gennaio 2019

Il Teatro alla Scala apre la stagione dei concerti di canto 2018/2019 con Winterreise, ciclo di lieder di Franz Schubert, capolavoro indiscusso del genere.
Il baritono Christian Gerhaher e il pianista Gerold Huber, accoppiata di vertice nel panorama internazionale dell’interpretazione liederistica, regalano al pubblico una serata memorabile, indagando ogni dettaglio della partitura con finezza e varietà di fraseggio.

Al limitare del paese c’è un uomo con l’organetto ;
con le dita indurite gira la manovella.
Scalzo, sul ghiaccio vacilla qua e là,
il piattello resta sempre vuoto.

Nessuno l’ascolta, nessuno lo vede,
e ringhiano i cani intorno al vecchio.
Indifferente a tutto, lui gira, gira,
l’organetto mai non tace.

Vecchio misterioso, e se venissi con te ?
Accompagneresti i miei canti col tuo organetto ?

(L’uomo dell’organetto – Der Leiermann)((Wilhelm Müller, trad. Pietro Soresina))

Un viaggio straordinario, tra la desolazione dei rigori invernali, e al termine di un intenso percorso di ventiquattro lieder che ci immergono nell’atmosfera più cupa e nell’impotente constatazione del peso dell’esistenza, la sospensione surreale introdotta dal suono di un organetto.
Con un’atmosfera sonoro non lontano da quella delle composizioni giovanili di Mahler, un cammino spaesato per il mondo riassunto idealmente nella figura del vecchio suonatore, ignorato dagli uomini ma schernito dalla Natura, cui egli non può che rendersi insensibile.
Trasparente all’Umanità, l’uomo potrebbe essere l’ideale compagno di viaggio di questo viandante solitario. Non rassegnazione ma piuttosto disincanto lo invadono, analogamente alla sorte del vagabondo Olandese.
Difficile aggiungere altro che non sia stato detto già innumerevoli volte a proposito di questo straordinario ciclo, a ragione considerato come il vertice assoluto del genere per i temi trattati nelle più ineffabili sfaccettature da uno Schubert al culmine della maturità artistica.
Meglio, dunque, riservare il giusto riconoscimento alla straordinaria esecuzione, oltre ogni lode, offerta al pubblico scaligero (un teatro non completo ma affollato oltre le aspettative, tenuto anche conto del genere francamente ostico per la maggior parte degli appassionati italiani, per lingua e contenuti)((chi scrive ricorda ancora la curiosa espressione di Brigitte Fassbander, all’inizio degli anni novanta, la sera in cui salì sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino per cantare la versione per pianoforte del Lied von der Erde di Mahler davanti a circa duecento spettatori, vigili del fuoco compresi)) da una coppia di esecutori così affiatata com’è il connubio Gerhaher-Huber.
Non un aspetto, una sfaccettatura, un ‘inflessione vocale o strumentale è trascurata dai due artisti, che scandagliano il ciclo da cima a fondo trasportandoci di volta in volta nell’atmosfera dei singoli canti, animandola sempre con economia ed eleganza di gesti.
Tanto magistero interpretativo resterebbe fondamentalmente inefficace se non fosse sostenuto dalla mirabile tecnica vocale del baritono Christian Gerhaher.
Sale e scende per il pentagramma con precisione millimetrica senza farcelo pesare, ma questo sarebbe ancora poco.
Impressiona più di ogni altro aspetto la mobilità del fraseggio e l’accento moderno, quasi nevrotico, con cui muta l’espressione nel volgere di un paio di battute.
Il gioco non annoia mai, anzi, l’alternarsi di voce piena, canto spiegato, irruento, mezzevoci, la continua ricerca di colori diversi per le vocali, è soggiogante, come se potesse letteralmente fare ciò che vuole della sua voce.
Sicura nel registro centrale ed acuto, a mezzavoce come nel canto spiegato, passano in secondo piano le rare difficoltà di una voce poco a suo agio nel registro grave.
Non sfoggia la placida ed inscalfibile bonomia di quel monumento di Fischer-Dieskau, dalla voce tanto ampia e sonora, ne attualizza piuttosto la lezione adattandola alla nostra attuale sensibilità.

Gerold Huber (pianista) e Christian Gerhaher (baritono).

Forte di una impostazione così, la lettura di Gerhaher esalta la circolarità e l’universalità della vicenda umana, s’avvia con semplicità con un Gute nacht (Buona notte) che è la ripresa di un discorso mai interrotto, un passo di marcia distaccato che è figlio di un rifiuto d’amore che non brucia ormai più, l’addio ad un sogno durato lo spazio di una stagione. L’ingresso, alla quarta ripresa, dei diesis serve solo a suggellare un sereno distacco.
Come in un quadro di Friedrich, un viaggio d’inverno nasconde insidie ad ogni passo. In un momento di amarezza, cadono gocce di pianto in Gefrorne Tränen (Lacrime di ghiaccio) e qui è abilissimo il pianoforte di Gerold Huber a rendere con naturalezza il lento stillicidio delle larime su un movimento cadenzato increspato da improvvisi rubati, sotto il canto sostenuto da un legato da manuale.

Caspar David Friedrich : Der Wanderer über dem Nebelmeer (Il viandante sul mare di nebbia, particolare).

Gli interessi di Gerhaher sono spesso rivolti anche all’opera lirica e la lettura di Erstarrung (Congelamento) ce lo ricorda con la sua dizione scandita accompagnata da tinte che anticipano i dolorosi ricordi dell’enigmatico personaggio di Amfortas.((Non a caso, vale la pena ricordare le recite di Parsifal interpretate sotto la bacchetta di Kirill Petrenko nel Bayerisches Nationaltheater lo scorso anno))

Pietra angolare del ciclo, e non potrebbe essere altrimenti visto il soggetto, Der Lindenbaum (Il tiglio) si staglia maestoso con la stessa semplicità ed eleganza della sonata in Si bemolle maggiore D.960.

Coglie nel segno, partendo dalla superficiale spensieratezza della pagina, l’interpretazione di Frühlingstraum (Sogno di primavera), fondata sul contrasto tra questa apparente semplicità e la triste realtà che entra in scena col canto del gallo, bruscamente (era stata messa da parte per un momento ma, certo, è sempre una Natura cattiva, matrigna dai piccoli gesti) che risveglia il viandante dai suoi sogni di vita felice.
Con questa presa di coscienza termina formalmente la prima parte del ciclo, il blocco dei primi dodici testi, in cui l’Autore, senza un programma specifico, ha esplorato la presa di coscienza del rifiuto amoroso.
Senza soluzione di continuità, Die Post (La posta) apre la seconda parte del racconto, che illustra il raggiunto disincanto e la narrazione delle stazioni di un viaggio che, si intuisce, non avrà pace se non in sporadiche soste.
E’ questa una delle tante occasioni per il pianista di affacciarsi alla ribalta : in Winterreise il ruolo dello strumento non è più quello del semplice accompagnamento, è quello di un vero  e proprio co-protagonista, specie quando, come in questo caso, Huber evoca magicamente il suono della cornetta postale sopra un ritmo incalzante.
Allo stesso modo, in Die Krähe (La cornacchia) è il pianoforte che conduce un disegno sinuoso, ipnotico come il volo nefasto dell’animale sino all’immagine del sospirato riposo, la tomba !
Con Das Wirtshaus (L’osteria) si tocca un altro vertice assoluto della serata. Scandagliando ogni verso Gerhaher muta continuamente d’accento passando dallo sfinimento per il lungo viaggio narrato nel primo verso alla bonomia destata dall’illusione di aver raggiunto la meta nel secondo. Più di tutti, muovono a compassione la dolente richiesta di ospitalità e la disperazione per il suo rifiuto : ancora non è il momento, per il viaggiatore, di raggiungere la serenità della morte. Non rimane altro a fare che rimettersi in moto con rassegnazione.

Il viaggio giunge formalmente al termine ma Der Leiermann (L’uomo dell’organetto) è una conclusione aperta. Abbiamo percorso un tratto di un lungo viaggio di un uomo del novecento, che ha perso ogni speranza e volontà, persino quella di cercare la pace interiore.

 

Applausi per Gerold Huber e Christian Gerhaher.

Al termine della serata, che si è giustamente conclusa senza ulteriori appendici, calorosi e prolungati applausi per i due interpreti.

 

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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.
Crediti foto : © Alexander Basta for Sony BMG (Artisti)
© Wanderersite/Paolo Malaspina (Spettacolo)
© SHK/Hamburger Kunsthalle/bpk Foto : Elke Walford (Quadro Friedrich) 

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