Guillaume Tell (1829)

In occasione dei 150 anni dalla morte di Rossini

Musica di Gioachino Rossini
Opéra en quatre actes
Libretto di Étienne de Jouy e Hyppolite Bis

Prima esecuzione a Palermo dell'edizione in lingua francese

Direttore Gabriele Ferro
Regia
 Damiano Michieletto
Regista collaboratore Eleonora Gravagnola
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Lighting designer Alessandro Carletti
Assistente alle scene Gianluca Cataldo
Assistente ai costumi Giulia Giannino
Assistente lighting designer Ludovico Gobbi

Orchestra e Coro del Teatro Massimo

Allestimento del Teatro Massimo
Produzione rappresentata per la prima volta alla Royal Opera House Covent Garden di Londra nel 2015

Guillaume Tell : Roberto Frontali 
Arnold Melchtal : Dmitry Korchak 
Walter Furst : Marco Spotti
Melchtal : Emanuele Cordaro
Jemmy : Anna Maria Sarra
Gesler : Luca Tittoto
Rodolphe : Matteo Mezzaro
Ruodi : Enea Scala 
Leuthold : Paolo Orecchia
Mathilde : Nino Machaidze 
Hedwige : Enkelejda Shkoza
Un chasseur : Cosimo Diano
Guglielmo Tell storico : Alberto Cavallotti

Teatro Massimo di Palermo, 28 gennaio 2018

Torna al teatro Massimo di Palermo il Guillaume Tell di Rossini nell'edizione andata in scena qualche tempo fa al Covent Garden di Londra in mezzo alle polemiche. Al di là del succès de scandale, si tratta di un allestimento equilibrato del capolavoro rossiniano nella versione francese, dove la scena è dominata da un magnifico albero che simbolizza la natura elvetica. Grande successo, meritato.

Anna-Maria Sarra (Jemmy) e Matteo Mezzaro (Rodolphe) ©Rosellina Garbo

Delle moderne regie d'opera si potrebbe sostenere quello che si dice degli esami medici, dividendole in “indolori”, “mini-invasive”, “invasive tout court” – queste ultime temibilmente portate a specillare nella carne viva dell'opera. Giusta tale classificazione, quella di Damiano Michieletto del Guillaume Tell rossiniano andato in scena al Teatro Massimo di Palermo sarebbe una regia “mini-invasiva”: un'interpretazione, cioè, che incide nella trama immaginata da librettisti e compositore quel tanto che basta a sovrapporle un legittimo progetto interpretativo evitando però di sfigurarla del tutto, come accade in altre circostanze con letture poco rispettose. Ricorda a tale proposito Michieletto che nella prima messa in scena del suo Guillaume Tell, al Covent Garden di Londra, le contestazioni di una parte del pubblico sono state tali da dover momentaneamente sospendere la rappresentazione, e gli echi della querelle subito scaturita sono addirittura finiti nel telegiornale della BBC in prima serata. Su tutta la vicenda londinese il regista ha poi commentato che nell'occasione “il teatro ha fatto fino in fondo il suo mestiere : far discutere. Da un lato ci sono un regista che propone la sua lettura dell'opera con coerenza e rigore, o almeno spero, e un teatro che la accoglie mettendolo nelle migliori condizioni possibili per realizzarla. Dall'altro, la reazione di chi fruisce di questa comunicazione. Se ne nasce un dibattito su quali siano le regole del gioco, su cosa si possa o non si possa fare in teatro, e perché, beh, io trovo che sia fantastico”. Al netto di letture invasive come quella dell'Elisir d'amore, firmata dallo stesso Michieletto qualche anno fa sempre per il Massimo di Palermo – dove l'intera opera si svolgeva in uno stabilimento balneare con tanto di chioschi per le bibite (“Da Amina”), ciambelle a forma di coccodrillo che andavano e venivano, e un enorme gonfiabile per bambini (e alla fine, naturalmente, anche per adulti) -, non si può non essere d'accordo con lui sul ruolo essenziale del teatro, che non è di confermare e rassicurare ma di far riflettere e perfino scandalizzare. Michieletto deve aver giudicato, però, che i palermitani fossero portati a scandalizzarsi più dei londinesi, visto che ha mitigato la scena più contestata a Londra, quella che vede il tentato stupro di una ragazza svizzera da parte di un gruppo di soldati austriaci. Lo stupro nel libretto ovviamente non c'è, ma le condizioni alle quali si può verificare un tentativo di quel tipo ci sono tutte – l'occupazione, l'arroganza degli oppressori, la frustrazione degli oppressi – e la lettura di Michieletto, in questo caso, non fa che rendere esplicite possibilità racchiuse nella virtualità del testo.

La grande attrazione di questa messa in scena palermitana, però, è l'immenso albero secco e abbattuto (immaginato da Paolo Fantin) che, ruotando su sé stesso, funge da sfaccettato arredo scenico. Secondo le parole del regista, insieme alla terra vera cosparsa sul palcoscenico, il grande albero coricato rappresenta la Natura : che è quanto dire l'a priori di una storia, come il Tell, dispiegata in continua interazione con l'assunto della sua ambientazione pastorale. Natura e Storia, i due campi simbolici più importanti del Romanticismo, fanno a turno nella partitura rossiniana a fornire volta per volta la dominante espressiva, e si intrecciano con l'Amore, qui in secondo piano secondo la logica del Grand opéra, a comporre un affresco sontuoso. Il fatto però che l'albero in questione sia tutto secco e contorto non fa tanto pensare all'ubertosa Natura svizzera, quanto a una lettura ideologica della Storia : sotto la dominazione straniera si è infatti inaridita la più autentica linfa vitale di un popolo come quello svizzero, che avrà bisogno di un tentativo di stupro sventato dal prode Guillaume Tell per scuotersi dal torpore – come Arnold Melchtal, che i ribelli devono andare addirittura a svegliare nel letto – e abbattere finalmente il giogo straniero. Bellissimo in questo senso il Finale, dove il gigantesco albero rinsecchito si solleva spettrale in cielo insieme al sole nascente e gli svizzeri sotto di lui, tornati liberi, piantano con il ragazzo Jemmy un alberello verde – la libertà – che rimpiazzerà quello secco.

Roberto Frontali (Tell)

Se il vero protagonista dell'opera, in fondo, è il coro – qui in gran forma -, belle cose si sono ascoltate complessivamente dal cast. Guillaume Tell è Roberto Frontali, che ricopre il ruolo titolare con disinvoltura e precisione. Forse Michieletto esagera nel fare di Tell un “eroe per caso” alla maniera dei film d'azione americani : nell'opera romantica la voce principale è per definizione una funzione drammaturgica attorno alla quale ruota l'asse espressivo dell'opera, e poco importano le condizioni alle quali partecipa all'azione perché quando interviene tutto prende senso a partire da lì.

 

Arnold (Dmitry Korchak)

Sorprendente l'Arnold di Dmitry Korchak. In una parte impervia, che porta impressa in archi melodici proibitivi la transizione da una vocalità belcantistica a una vocalità di forza, Korchak ha mostrato una paletta tecnica di varietà impressionante, passando dagli acuti sempre splendenti alle mezze voci e fino al falsetto, nei duetti d'amore con Matilde, con cui allude ai palpiti sentimentali di un personaggio fragile che recupera la spinta patriottica solo alla fine.

 

Mathilde (Nino Machaidze)

Meno convincente, nel complesso, Nino Machaidze (Matilde). Se la scelta di vestire tutti con abiti uniformemente moderni (firmati da Carla Teti) priva la storia dell'effetto di una principessa abbigliata sontuosamente – Matilde, che sposa per amore la causa dei contadini rivoltosi, qui vestiti tutti più o meno come lei -, le sfaccettature di un personaggio che ama e rischia di vedersi respinto dall'amato appartenente a una fazione opposta, invece, ci sarebbero tutte. Nino Machaidze presta tuttavia al suo personaggio solo potenza e precisione, ma risulta inespressiva in rapporto ai mille turbamenti di un personaggio stretto tra politica e sentimenti. Ottimi il Walter di Marco Spotti, Melchtal di Emanuele Cordaro, Jemmy di Anna Maria Sarra, Rodolphe di Matteo Mezzaro, Hedwige di Enkelejda Shkoza, e soprattutto il Gesler di Luca Tittoto : davvero un cattivo di grande spessore.

 

 

Un discorso a parte andrebbe fatto sulla direzione di Gabriele Ferro, direttore musicale del Massimo. La splendida ouverture in quattro pannelli, tanti quante sono le anime dell'opera, sono tutti e quattro fuori fuoco. Si ha a tratti l'impressione che Ferro sia come estraneo alla tensione rossiniana, a quella tipica elettricità ottenuta con grande economia di mezzi, alle specifiche “tinte” e al loro magico intreccio in una partitura così ricca di colori. Tutto viene per così dire normalizzato e banalizzato. Non si può dire che siano clamorosamente sbagliati i tempi – ogni tanto lo sono -, ma due pannelli tanto contrastanti come il secondo quadro, quello stürmisch della tempesta, e il terzo quadro con il magnifico tema pastorale della Natura, non contrastano affatto perché non sollecitano in Ferro nessuna immaginazione, non attivano un riferimento né agli innumerevoli quadri naturali a cui ci ha abituato il Romanticismo, né ai suoi altrettanto numerosi correlativi nel sentimento. La Natura, si direbbe, non è abbastanza interessante per il direttore palermitano né in sé, né come specchio dell'anima. Nel prosieguo dell'opera viene fuori tutta l'esperienza di Ferro come concertatore e le cose vanno come devono, poi nel Finale dell'opera, con il grandioso inno degli svizzeri alla libertà ritrovata, si tocca finalmente un tasto che emoziona tutti : il tema rossiniano che si srotola inesorabile per accumulazione, dipingendo la libertà come una valanga che si solleva fino al cielo, fa correre un brivido nel teatro.

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Sara Zurletti
Sara Zurletti si è diplomata in violino e laureata a Roma in Lettere con tesi in Estetica. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca all'Università Paris 8. Ha insegnato nella stessa università "Teoria dell'interpretazione musicale" e poi, dal 2004 al 2010, Estetica musicale all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Pedagogia musicale all'Università di Salerno. Ha pubblicato "Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno" (Il Mulino, 2006), "Le dodici note del diavolo. Ideologia, struttura e musica nel Doctor Faustus di Th. Mann" (Biblipolis 2011), "Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella Morte a Venezia di Th. Mann" (Castelvecchi), e il libro-intervista "Ars Nova. ventuno compositori italiani di oggi raccontano la musica" (Castelvecchi 2017). Attualmente insegna Storia della musica al Conservatorio "F. Cilea" di Reggio Calabria.

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