Giuseppe Verdi (1813–1901)
Un ballo in maschera (1859)

 

Direttore : Myung-Whun Chung
Regia : Gianmaria Aliverta
Scene : Massimo Checchetto
Costumi : Carlos Tieppo
Luci : Fabio Barettin
Movimenti coreografici : Barbara Pessina

Riccardo ⎮ Francesco Meli
Amelia ⎮ Kristin Lewis
Renato ⎮ Vladimir Stoyanov
Oscar ⎮ Serena Gamberoni
Silvano, un marinaio ⎮ William Corrò
Ulrica, indovina ⎮ Silvia Beltrami
Samuel ⎮Silvia Beltrami
Tom ⎮ Mattia Denti
Un giudice ⎮ Emanuele Giannino
Un servo d’Amelia Roberto Menegazzo /Dionigi D’Ostuni

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro ⎮ Claudio Marino Moretti
Coro di voci bianche
maestro del Coro⎮ Diana D’Alessio
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

Teatro la Fenice, novembre 2017, Prova Generale

Il nostro collaboratore Mauro Masiero ha assistito in modo del tutto eccezionale alle prova generale di Un ballo in maschera, spettacolo di inaugurazione della stagione 2017–2018 del Teatro La Fenice. Ovviamente, trattandosi dell'ultima seduta di lavoro, il lettore dovrà tenere conto che ci possono essere differenze tra prova generale e recite successive.
Ne rendiamo comunque conto, ma preghiamo di leggere la recensione con la dovuta distanza. 

La redazione

A Verdi spiacque abbandonare l’ambientazione svedese del libretto originario di Scribe per collocare l’opera che diverrà Un ballo in maschera nella Boston del tardo Seicento : « Peccato ! Dover rinunziare alla pompa di una corte come quella di Gustavo III », scrisse ; Verdi vedeva sfumare, con i fasti regali, alcune ghiotte occasioni di lavoro musicale. La corte americana fu poco più che un ripiego, che causò non pochi problemi e richiese ulteriori rimaneggiamenti a un libretto che già di per sé non svettava per valore letterario. L’ambientazione nell’America repubblicana e schiavista, presumibilmente anteriore a Lincoln, voluta dal regista Gianmaria Aliverta risulta pertanto pressoché inspiegabile : un’epoca di cilindri neri e colletti bianchi, di rigorosa sobrietà puritana ha poco o nulla del brio cavalleresco auspicato da Verdi ma si decide comunque di ospitarvi una vicenda di passioni ineluttabili e le gesta di un regnante tendenzialmente frivolo e disincantato, ancorché saggio. Se poi si tenta di recuperare la leggiadrìa cortigiana magistralmente dipinta dalla musica con improbabili costumi sgargianti e con risibili anacronismi scenografici – come le generiche stars and stripes e gli enormi pezzi di Statua della Libertà, ma la lista potrebbe continuare a lungo – c’è davvero più di qualche cosa che non va, in questo allestimento.

Ma si sa : la regìa non è affare da musicologi, men che meno la scenografia e i costumi ; facciamo lavorare le orecchie, quindi. Una buona notizia : l’orchestra è in ottima forma e la collaborazione con Chung (che neppure una settimana fa ha regalato un Mahler da brividi) è felice e fruttuosa. Splendidi slanci melodici, linee secondarie in bella evidenza, ritmi tesi e incalzanti, episodi solistici o di dialogo con i cantanti ben curati e riusciti, raffinatissima l’orchestrina nel finale del terzo atto con il suo gelido Todesmenuett. Anche il coro sa il fatto suo e regala sezioni virili dalla sonorità possente, un canto franto e picchiettato dei congiurati preciso al secondo, un legato nei corali degno della sezione degli archi ; grandi equilibrio e varietà di suono con picchi di intensità e di lirismo.

Lo stesso non si può purtroppo dire dei cantanti, fin troppo in maschera loro stessi. Francesco Meli è un Riccardo dalla voce stentorea e ricca, tanto che rischia in qualche momento di sbraitare ; non risparmia nulla, infatti : dà tutto e si produce in continui portamenti – non di rado melensi – e in una dizione a tratti enfatica e retorica, birignao da comizio irredentista. L’intonazione però è buona e, a conti fatti, il suo è un Riccardo pertinente, forse un po’ manchevole di brio ed eleganza. Decisamente fuori luogo è invece l’eroina dello sventurato triangolo : Kristin Lewis, un’Amelia vocalmente schizofrenica, dotata di tanti timbri quanti sono i registri della sua voce, voce incoerente, che non ha nemmeno il pregio di un’intonazione impeccabile, né di una corretta dizione : non si contano le sillabe fagocitate tra un cambio di registro e l’altro, le sviste sulle consonanti doppie, le p le t esplosive. L’Oscar di Serena Gamberoni è gaio e brillante, ma non spicca per agilità vocale ; abbastanza riuscita l’accoppiata Tom & Sam resi sinceramente ridicoli dagli eccentrici abiti variopinti. Senza infamia e senza lode Silvia Beltrami (Ulrica) e Vladimir Stojanov (Renato), belle voci che interpretano le loro parti con correttezza, senza concedere esibizioni memorabili.

Una produzione – ahimé – assai povera, approssimativa e raffazzonata, poco attenta ai dettagli e all’intento del compositore, incline al kitsch, colma di incongruenze e stereotipi, con un cast mediocre – quando non insufficiente – che si salva per il lavoro egregio di coro e orchestra e per la preziosa bacchetta di Chung. Una mascherata superficiale e disimpegnata, piacevole – forse – ma ben lontana dagli intenti di un Verdi genuinamente drammaturgico alle prese con il suo personale Tristano.

Mauro Masiero
Mauro Masiero (16 Aprile 1987) compie studi musicali, linguistici e musicologici. Nel corso della carriera universitaria approfondisce sia dal punto di vista filologico ed ermeneutico che dal punto di vista musicale e analitico il rapporto tra letteratura, poesia e musica, con particolare attenzione all'area germanofona. Dottorando in Storia della musica presso l'università Ca' Foscari di Venezia, collabora con diversi enti musicali e culturali della città tenendo lezioni, ascolti guidati e redigendo articoli e note di sala : l'Associazione Richard Wagner, la Fondazione Ugo e Olga Levi, Asolo Musica. Interessato alla divulgazione, dal 2014 realizza il programma radiofonico Radio Ca' Foscari Classica per la web-radio dell'ateneo veneziano, ritrasmesso su La Fenice Channel. Segue con particolare interesse le produzione operistiche, i concerti di musica sinfonica e cameristica.

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