Richard Strauss (1864–1949)

Salomé (1905)

Direzione musicale
Daniele Gatti
Regia
Ivo van Hove
Scene e luci
Jan Versweyveld
Costumi
An D'Huys
Video
Tal Yarden
Coreografia
Wim Vandekeybus
Dramaturgia
Jan Vandenhouwe
Orchestra
Royal Concertgebouw Orchestra
Herodes
Lance Ryan
Herodias
Doris Soffel
Salome
Malin Byström
Jochanaan
Evgeny Nikitin
Narraboth
Peter Sonn
Ein Page der Herodias
Hanna Hipp
Fünf Juden
Dietmar Kerschbaum
Marcel Reijans
Mark Omvlee
Marcel Beekman
Alexander Vassiliev
Zwei Nazarener
James Creswell
Roger Smeets
Zwei Soldaten
James Platt
Alexander Milev
Ein Cappadocier
Michael Wilmering (Dutch National Opera – talent)
De Nationale Opera – Amsterdam, dimanche 18 juin 2017

Per la sua prima produzione lirica all’Opera di Amsterdam come direttore musicale del Royal Concertgebouw Orchestra (aveva già diretto Falstaff come ospite nel 2014) Daniele Gatti ha scelto Salome, uno dei capolavori del repertorio post-romantico, dal pezzo di Oscar Wilde scritto in francese nel 1893. La storia della ragazza nata in una famiglia pervertita, attraversata da desideri nascenti esige un’interprete eccezionale : Malin Byström che per la prima volta canta la parte risponde in modo stupendo alla sfida. Ivo van Hove è il regista intelligente e acuto della produzione.

 

In primo piano, uno spazio ellittico e vuoto, come l’orchestra di un teatro antico (che inspira anche l’architettura della sala di Amsterdam) e in fondo un’apertura verso un salotto ricco in vista parziale, percorso da molti personaggi che si agitano durante un ricevimento a corte : uniformi, doppi petti, donne eleganti. Sopra un cielo nero vagamente minacciante con una luna grande e pallida. Ecco l’unico dispositivo dello scenografo Jan Versweyveld (che a concepito anche le luci).
Uno spazio realista in relazione  dialettica con uno spazio astratto che va a poco a poco essere l’unico spazio del dramma. Ivo van Hove infatti elimina tutto quello che potrebbe essere aneddotico, per concentrare lo sguardo sull’essenziale, le relazioni tra i personaggi, l'intimità di ciascuno, i desideri non soddisfatti, il tutto sotto lo sguardo di spettatori zitti, come un coro antico silenzioso che sta per invade la scena, lontano ricordo della tragedia greca.
La storia di Salome non fa parte delle storie bibliche fondamentali ma ne costituisce un episodio collaterale ben identificato e famoso del Nuovo Testamento, che ha ispirato quadri (Cranach, Luini, Tiziano, Botticelli e altri), scritti (La Legenda aurea di Jacopo da Varazze, Flaubert, Mallarmé, Huysmans) e pezzi teatrali (Wilde). È un mito letterario tipico fin de siècle che passa dalla letteratura all’opera, e che nella fattispecie farà scandalo.
Non c’è dubbio : Strauss che s’impadronisce della « ragazza con pantofoline di piuma di colibrì »((l’espressione è di Flaubert)) ha aperto la via ad altre eroine dell’inizio del novecento e Salome deve essere vista e letta in rapporto a quella che sarà l’espressione artistica dei primi trent’anni del novecento.
Salome deve anche essere ascoltata cosi, perché la musica di Strauss tra il post romanticismo e l’atonalità trova in Salome  (poi in Elektra) non solo l’espressione musicale che si ritroverà in Rosenkavalier o Frau ohne Schatten, ma anche a tratti una scrittura vicina alla seconda scuola di Vienna, che prende a Wagner, ma crea anche un colore impressionista e puntinista. Come la scrittura di Flaubert o la pittura di Monet, la scrittura di Strauss è fatta anche da trattini, da piccoli dettagli puntuali che visti da vicino fanno esplodere la forma, ma che da lontano ritrovano una linea figurativa : i dettagli della partitura sono come punti coloristi, con un’incredibile tavolozza strumentale rendendo conto della complessità della scrittura, del dramma, dei personaggi e della situazione.
In tale contesto, il teatro non ha bisogno di essere stracarico ma semplicemente di "far vedere". E Ivo van Hove si limita ai personaggi e a quello che dice l’incredibile libretto (di Helmut Lachmann tradotto da Oscar Wilde): Salome è questa ragazza minuta (come Byström all’inizio, fragile e vulnerabile) di cui tutti s’innamorano subito. Questa sente molto bene l’amore sperduto di Narraboth, primo personaggio strumentalizzato dalla ragazza a chi chiede di liberare Jochanaan dopo averlo sentito insultare sua madre Erodiade, e prima vittima perché si suicida : Salome è figlia della madre famosa come “putana del regime”, e cercherà a sedurre con parole, ma anche col corpo tutti gli uomini che la circondano, Narraboth, Erode ovviamente, ma soprattutto Jochanaan di cui Ivo van Hove, ed è senza dubbio uno dei momenti chiavi della sua regia, mette in risalto l’uso  del discorso religioso ambiguo per mascherare il proprio desiderio.

La prima danza seduttiva di Salome mira al corpo reale di Jochanaan, un corpo potente, coperto di tatuaggi (reali) di Evguenyi Nikitin ((uno dei suoi tatuaggi – una Svastika- provocò il suo allontanamento da Bayreuth)), con la sua sensualità grezza che contrasta con il corpo gracile della giovane donna in un dialogo teso e molto ambiguo. Salome affascinata dalla voce emersa dal profondo della terra ha fatto uscire Jochanaan dalla cisterna, un buco al centro dello spazio, luogo dell’altare nei tempi antichi, di contatto con la divinità, un luogo sacro, quando il profeta ha insultato Erodiade (che accusava d’incesto).

La seconda danza di Salome è destinata al Tetrarca Erode, interpretato in maniera superiore da Lance Ryan : anche qui il dialogo comincia nel freddo di un rapporto educato e distante, dove i personaggi escono tutti dal salotto in fondo, che è la corte, il mondo delle apparenze e della commedia sociale : così appare la coppia Erode-Erodiade, una Doris Soffel altezzosa e fredda, molto elegante, mai caricaturale, sempre attenta al gioco della figlia che sostiene senza ambiguità. Ivo van Hove distingue perfettamente i due personaggi : Erodiade maestosa e dura, mentre Erode sempre più sottomesso al corpo della ragazza. Il desiderio e la sottomissione sono marcate da un gesto solo, semplice : si toglie la cravatta e apre la camicia, come se fosse pronto ad offrire il suo corpo, ad offrirsi e a sottomettersi. Un gesto che fa passare Erode dallo statuto politico (vestito, cravatta) a quello di posseduto.

La terza danza è la famosa danza dei sette veli, che comincia con tutti i personaggi in scena e i comparsi ; tutti schizzando una danza collettiva dove Salome passa da l’uno all’altro, per poi girare attorno al Tetrarcha, che Van Hove vede come proiezione fantasmatica di una danza attorno a Jochanaan, vista al video dove mammano la ragazza si denuda e si offre. Quindi la danza è vista nel reale (Erode) e nel fantasma in un vertiginoso va e viene che inizia all’orchestra con una tensione particolarmente sottolineata (il flauto è prodigioso…) e che diventa trasfigurazione quasi mistica (la luna diventa sempre più grande) del desiderio di possessione del profeta.
Infine la quarta danza è quella dove viene portata,  su un grande vassoio non la testa di Jochanaan (farebbe troppo cartapesta) con al centro  la testa di Jochanaan (farebbe troppo cartapesta) il corpo intero del Battista sanguinante, sopra il quale la donna si strofina, il sangue col quale si spalma, per poi baciare la bocca tanto ricercata :
Es war ein bitterer Geschmack auf deinen Lippen
Hat es nach Blut geschmeckt ((c’era un gusto amaro sui tuoi labbra/era questo il gusto del sangue?))
L’unione tra Salome e Jochanaan dopo esser stata fantasticata durante la danza dei sette veli,  diventa unione reale nel sangue,  quella di una ierodulia un po’ particolare : figlia di prostituta secondo Jochanaan, essa diventa stessa sacerdotessa di un rito che è espressione esacerbata del desiderio, il sangue di cui si copre essendo anche riferimento alla deflorazione. E il modo in cui il suo corpo viene portato alla fine, da quattro uomini, come un cadavere sacro, tale un Sigfrido al femminile, le dà anche una nobiltà e una sacralità quasi insopportabili.

Particolarmente riuscita la progressione costruita da Malin Byström durante queste quattro scene che vediamo come quattro danze dove la ragazza diventa donna. Infatti, l’ultima parola dell’opera è Weib (donna) (grido di Erode, Man töte dieses Weib)((che questa donna sia ammazzata!)), ma forse può scappare l’inizio del libretto, quando appare Salome e che Narraboth la prima vittima la descrive un po’ come da Flaubert :
Sie ist sehr seltsam. Wie eine kleine Prinzessin
deren Füsse weisse Tauben sind.
Man könnte meinen, sie tanzt ((è molto strana.  Come una principessina/i cui piedi sono bianche colombe./Si potrebbe pensare che danza))

Quindi da Principessina, essa diventa alla fine dell’opera donna e Ivo van Hove costruisce tutto il suo lavoro su questa evoluzione ben sottolineata dal testo. Ma Narraboth aggiunge anche che sembra ballare : il corpo erotico di Salome comincia dal piede, la geniale trovata di Flaubert pantofoline di piuma di colibrì diventa da Strauss e Wilde weisse Tauben ((bianche colombe)), e da van Hove la ragazza coi piedi nudi . Come non pensare al flaubertiano la vista del vostro piede mi turba nell’Educazione sentimentale ? Il personaggio viene definito fin dall’inizio col piede e la danza : la forza erotica della ragazza comincia dal piede,primo strumento della danza, perché Salome non fa che offrirsi danzante in questo dramma, la danza della seduzione perversa attorno a corpi maschili in preda al desiderio, in un vestito che evoca personaggi di Pina Bausch. Lavoro asciutto di incredibile rigore e prodigioso d’intelligenza , con esigenza minimalista e tensione interna creata da incredibili cantanti-attori.

A questa visione quasi stilizzata, senza kitsch, dove ogni riferimento estetico al periodo viene quasi cancellato, corrisponde un lavoro musicale equivalente : l’intesa scena/buca è totale e l’impegno di tutti è stupendo.
Non c’è un punto debole nel cast, compreso i ruoli molto secondari, che sono perfettamente tenuti, ad esempio i due bassi, il primo soldato di James Platt oppure il primo nazareno di James Cresswell con interventi precisi, perfettamente detti e pronunciati, comunicando une grande tensione. In qualche secondo, contribuiscono in maniera forte a designare un’ambiente, cosi come gli ebrei di Dietmar Kerschbaum, Marcel Reijana, Mark Omvlee, Marcel Beekman, Alexander Vassiliev. Si misura spesso l’eccellenza di una produzione all’eccellenza dei ruoli secondari : la fresca Hanna Hipp, nel ruolo del paggio, intensa e commovente, ne è anche un emblema.
Peter Sonn è Narraboth, un ruolo breve, ma non meno importante. È la prima vittima, e suo suicido in scena è il primo momento del dramma. Il suo corpo rimarrà a lungo in palcoscenico, come se fosse inutile, come un epifenomeno. Un episodio che scandisce la marcia di Salome verso i suoi desideri, per chi il fine giustifica i mezzi come diceva Macchiavelli.
Peter Sonn è un bravo tenore, un eccellente David dei Meistersinger ad esempio, con voce chiara, ben controllata, vera presenza, e nello stesso tempo forse un timbro meno luminoso di altri, che dà al personaggio una vera fragilità.
Evghenyi Nikitin è un Jochanaan intenso, grezzo di aspetto, ma con timbro assai chiaro che non dà al personaggio la voce sepolcrale che si sente qualche volta, ad esempio quando canta dietro le quinte. Possiede una certa umanità nel suo modo di cantare, con una voce che non domina sempre la massa orchestrale, anche se si sente bene. Non è una questione di volume, ma di colore et di timbro. Così il personaggio tutto coperto di tatuaggi (reali) sembra nella regia essere un emarginato del cristianesimo nascente, uno di quei esseri trovati sulla strada verso il vero Dio, un personaggio che illustra la fragilità umana invece del personaggio di bronzo abituale, sottomesso a Dio.
Altro sguardo nuovo e molto raffinato, quello sulla coppia Erode-Erodiade, interpretato da due cantanti con personalità eccezionale, Lance Ryan e Doris Soffel. Alla coppia isterica e in qualche modo ridicola Ivo van Hove sostituisce due figure politiche che non hanno nulla di ridicolo e che nascondono il loro odio e le loro debolezze sotto il comportamento civile e educato. Doris Soffel è un’Erodiade elegante, con forte carattere, una vera donna politica. La voce della cantante, anche se non è più quella che fu, rimane particolarmente espressiva, con un senso del colore e degli accenti molto teatrale dietro ogni parola, in coerenza con un pezzo che è musica e teatro. Gli acuti rimangono potenti, qualche volta un po’ gridati, ma molto energici e danno ad Erodiade una statura e una forza inaudite.
Lance Ryan è un Erode che non ha nulla del tenore di carattere sghignazzando, con le sue smorfie che vediamo spesso nei teatri, con una maniera di dire il testo che ricorda Mime ou l’Aegisth dell’Elektra. Non ha nulla di ridicolo, ma interpreta un essere in preda alle paure, pieno di debolezze molto umane, un cattivo politico che non sa prendere ne assumere decisioni. Il testo è detto in maniera notevole, e la voce non è mai caricaturale. Il volume potrebbe essere qualche volta più marcato, ma l’espressione è naturale e contenuta, ogni tanto ingenua nelle speranze, ogni tanto disperata, vibrante dal desiderio, ma sempre quasi implicita : non si fa mai vedere nella sua crudezza, al contrario, sempre con un certo senso del pudore che colpisce nella costruzione del personaggio fatta da Lance Ryan e che non può che suscitare ammirazione.
Rimane la Salome di Malin Byström, che interpreta la parte per la prima volta, con esito notevole. La voce di Salome è sempre un problema : la ragazza fragile deve avere una voce drammatica in un corpo esile quasi adolescenziale. Il formato vocale del ruolo ha imposto formati corporei che non sempre hanno il physique du rôle (Montserrat Caballé). Malin Byström ha una voce di soprano lirico che spinge al massimo delle possibilità, in particolare nella parte finale, dove conosce l’esperienza del limite che rende la situazione ancora più tesa.  Invece all’inizio la proiezione non era perfetta, un po’ esitante, una maniera forse voluta per dare l’immagine della fragilità e dell’esitazione, in una visione affermata del passaggio da ragazza a donna, la voce si afferma per esplodere nella parte finale, magnificamente accompagnata da un Gatti che controlla e tempo e volume, in modo che la voce appaia quasi come uno dei strumenti dell’orchestra. Quello che sconvolge soprattutto, è il modo in cui s’impadronisce del testo : lo canta oppure lo dice al limite dello Sprechgesang, oppure in sordina, scolpendo ogni parola. Le sue ultime parole sono un esempio soffocante : dice Ah ! Ich habe deinen Mund geküßt, Jochanaan. Ah ! Ich habe ihn geküßt deinen Mund((ah, ho baciato la tua bocca…)) quasi come una dichiarazione all’orecchio, in una sorta d’intimità morbosa, poi il volume aumenta, per esplodere : l’arte di usare della voce appoggiandosi sulle debolezze come sulle forze è stupendo. Da Catherine Malfinato che era una ragazzina perversa modello DOC, non ho sentito una Salome cosi convincente, intensa e giusta.
Ma l’architetto di tutto lo spettacolo è Daniele Gatti. Lo sguardo del regista è in sintonia con la musica e d’altra parte la musica guarda sempre il testo. In questo spettacolo, Ivo van Hoce non propone un’illustrazione del dramma, ma una chirurgia frugando col bisturi nei personaggi e le situazioni che conviene particolarmente a Gatti nel suo modo di guardare la partitura nel suo spessore.
Come van Hove fa crescere la ragazza fino alla donna finale, Gatti costruisce anche lui un crescendo, passo dopo passo, fino all’esplosione (l’implosione?) finale. Così come i cantanti curano ogni parola dandone un colore specifico, l’orchestra colorisce e si diffrange in un puntinismo sonoro quasi impressionista, che dalla precisione e la limpidezza fa apparire una partitura e una scrittura con profondità inaudita, con ramificazioni stupefacenti al limite dell’atonalità, come se la musica seguendo il respiro del dramma si azzardasse in zone sconosciute e inesplorate, rendendo premonitore la partitura. Se altri hanno lavorato su Elektra sentendo la seconda scuola di Vienna (penso a Claudio Abbado), si guardava spesso Salome come una musica dell’ottocento simbolista o decadente, stile Secession. Invece Gatti annusa il futuro. Con un tempo molto contenuto in relazione col ritmo e il respiro della regia, Daniele Gatti provoca una tensione al limite del sopportabile, che costringe il pubblico ad un silenzio pesante al sipario finale. Ci dà una delle sue letture più impressionanti, con un’orchestra eccezionale : impegno, respiro, precisione, esattezza, legni da capogiro, ottoni senza scorie, suono cristallino, insomma un Royal Concertgebouw Orchestra in odore di paradiso. Gatti controlla il volume e il tempo in modo che arrivi il più tardi possibile lo tsunami sonoro, con rigore e con infinità di raffinatezze : questa produzione di Salome è una pietra miliare nella storia dell’interpretazione di quest’opera, l risultato di un incontro  eccezionale tra direttore e regista, e di una vera visione artistica…

 

 

 

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2 Commentaires

  1. Ho apprezzato molto questo commento, fatto anche per chi non è del mestiere, sono solo una appassionata fruitrice. La Salomè di Gatti la conosco molto bene per averla sentita alcune volte ( ho il DVD) e ne sono innamorata. Ha una potenza formidabile ; la regia e la scenografia geniali, cosi' essenziali e fuori del tempo permettono di concentrarsi sulla musica e sulle personalità del dramma. Concordo sul commento tranne che per la figura di Salome' : per nulla fragile ed esile ha invece una sensualità già adulta a mio parere, e la Bystrom la illumina con la sua bellezza seducendo anche gli spettatori. Credo che la riuscita di questo allestimento Le debba moltissimo. Ricordo che il dramma di Wilde è stato rappresentato negli anni in cui venivano pubblicati gli scritti di Freud.…molto potrebbe dire una lettura psicoanalitica…Eros e pulsione di morte ma anche complesso di Edipo ecc…

  2. Uno spettacolo eccezionale e una Malin Bystrom stupenda. Non ho parole per esprimere la commozione che quest'allestimento mi ha procurato. Peccato che sia impossibile trovare su you tube o su qualche altro canale questa esecuzione. Daniele Gatti è un italiano, a volte fa piacere vedere che qualcuno vola molto, molto in alto

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