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Omaggi incrociati in questo programma inusuale :  un omaggio a Roma da un compositore svizzero, Richard Dubugnon, di Losanna, scritto per  la migliore orchestra sinfonica italiana (con sede a Roma) di passaggio in Svizzera. Poi Fontane di Roma e Pini di Roma, altro omaggio a Roma, e poi l’ouverture di Guglielmo Tell di Rossini (la seconda parte del pezzo), bis obligatorio nella patria dell’eroe. In mezzo, il concerto n°1 per pianoforte di Ciaikovskij concessione al pubblico e ai grandi standards internazionali, con una star al pianoforte, la giovane cinese Yuja Wang. Se invece fosse stato programmato il Capriccio italiano dello stesso Ciaikovskij, la coerenza programmatica sarebbe stata perfetta.

Sir Antonio Pappano, prima di alzare la bacchetta alza il microfono per spiegare in francese origine e costruzione del Caprice romain n°3 op.72 di Richard Dubugnon. L’impresa è simpatica : il direttore spiegando le origini e le circostanze che hanno segnato il pezzo presenta certi caratteri, facendo intervenire certi strumenti nello stile di Bernstein nelle sue famose lezioni, spiegando con grande limpidezza qualche elemento del pezzo, che rinvia alla scoperta di Roma del compositore, all’età di 8 anni ; ciò crea una grande disponibilità del pubblico per il pezzo contemporaneo di cui si sa che è spesso più d’obbligo che d’adesione.
Il Caprice romain n°3 op.72 ha avuto la sua Prima assoluta a Roma la settimana precedente, commissione dell’orchestra al compositore svizzero ; quelli che temono la musica contemporanea sono rasserenati perché il pezzo è di fattura classica, usando della più larga tavolozza strumentale (compreso campane a quattro mani), che permette all’orchestra di far sentire la qualità dei suoi solisti, la dinamica, i momenti molto constrastati da pianissimo a fortissimo e anche una certa tensione. Dubugnon evoca il terzo atto di Tosca, con le campane del mattino che attraversano il silenzio della città che si sveglia sul sul finire della notte. Gioca anche sull’espressione SPQR, che si vede un po’ dappertutto in città e sui tombini : i dodici minuti di musica son presto passati, con una musica che ricorda spesso gli anni venti o trenta nei suoi giochi strumentali (omaggio a Respighi?), dove si notano echi di Stravinskij o di Bartok, anche di Albert Roussel : a questo Caprice non manca neanche l’ironia, e suonarlo richiede da parte dell’orchestra un certo virtuosismo che lo proietta ad un grande livello esecutivo. Il pezzo è accolto calorosamente dal pubblico che regala un forte applauso all’orchestra, al direttore, e al compositore (nato nel 1968) presente in sala. Buon vento !

Più classica la scelta del Concerto n°1 per pianoforte di Ciaikovskij, interpretato dalla pianista star Yuja Wang. A questa scelta di repertorio, ovviamente mirata ad attirare un largo pubblico poteva forse più vantaggiosamente essere preferito un propramma tutto ispirato a Roma, come il Carnaval Romain di Berlioz, il Capriccio italiano dello stesso Ciaikovskij, come già detto, o anche, perché no, l’ouverture di Rienzi di Wagner.
Questa interpretazione non rimarrà nelle memorie. Invece, è stato notevole l’accompagnamento chiaro, limpido, trasparente dell’orchestra, con energia e vigore di fronte ad un pianoforte poco ispirato. Non c’è anima in questo lavoro virtuoso e acrobatico dove la tecnica dimostrativa (che inizia con accordi arpeggiati ) non dimostra che se stessa perché non è al servizio d’altro . Certo, nel primo come nell’ultimo movimento, l’incredibile velocità e l’incredibile precisione della giovane pianista vengono esaltate tali e quali ma non c’è nessun momento dove si senta un Ciaikovkij un poco più interiore : suonare in modo cosi dimostrativo e cosi poco sentito produce noia, perché se non c’è molto colore, non c’è neanche molta fantasia.
Il primo bis (Un brano dell’Orfeo di Gluck trascritto per il pianoforte) lo conferma, tanto il pezzo che potrebbe provocare emozione rimane piatto, il secondo invece è una variazione brillante e jazzistica sulla Marcia turca di Mozart, dove Yuja Wang è sconvolgente e dalla tecnica infallibile : permette di concludere con un trionfo, ma per impegnare cuore o anima bisognerà aspettare ancora un po’.

Sconvolgente invece la seconda parte composta dai due poemi sinfonici Le Fontane di Roma e I pini di Roma creati da quest’orchestra rispettivamente nel 1917 (direttore Antonio Guarnieri) e nel 1924 (Bernardino Molinari). Siamo ovviamente nel cuore del repertorio storico di questa orchestra che rimane, e dimostrandolo anche stasera, non solo un riferimento insostituibile nel paesaggio musicale italiano, ma anche in quello europeo.

C’è in questa musica a volte trascurata o disprezzata (non sempre piace la musica a programma) un’autentica sinfonia di colori, che gioca ne Fontane di Roma sugli ambienti descritti, sui momenti (alba, mattino, mezzogiorno e crepuscolo) e anche sulla diversità, che va dal bucolico all’urbano, dal reale al mitologico : un lavoro sulla metafora, sui temi di ogni fontana, ma anche sui giochi d’acqua. Si pensa a Debussy, a Ravel anche perfino a Strauss, ma soprattutto a Rimski-Korsakov, che fu maestro di Respighi.
Qualche anno dopo Respighi rende omaggio non più a fontane quali costruzioni emblematiche del paesaggio urbano romano, ma alla natura circostante che lo penetra, a luoghi naturali forse sotto controllo o ancora liberi come i parchi (Villa Borghese), occasione per evocare i giochi dei bambini (Debussy…), oppure ambienti più cupi come le Catacombe – passiamo dai bambini simbolo di futuro alla morte che evoca la fine, con una musica molto trattenuta, il Gianicolo ancora indomato, pure in città e tremolante sotto il vento notturno e infine la Via Appia che fruscia di un esercito romano in trionfo e finisce in maestà. Questa musica che deve tanto anche all’impressionismo di Debussy o di Ravel, propone all’orecchio un’infinità puntinistica di colori, e per l’orchestra una larga tavolozza di suoni, esaltando solisti ineccepibili come il primo violino Roberto González-Monjas, o fiati come Alessandro Carbonare, clarinettista di fama mondiale e anche gli ottoni trascinati dal primo corno Alessio Allegrini, di sicuro uno dei cornisti più richiesti nel panorama musicale internazionale. Tutti straordinari  sia nel rilievo, sia nelle sottigliezze. Si rimane colpiti dalla dinamica, dalla purezza del suono, anche dall’emozione diffusa da questa musica e dalla capacità di Antonio Pappano di comunicare, di esaltare e di rivelare ambienti così diversi. Nulla di noioso, nulla di monotono, al contrario ! Esalta i riflessi marezzati di questa musica fatta di ombre e luci, di alba e di crepuscolo : una musica complessa e splendidamente costruita. Il crescendo finale è magnifico, molto usato nel cinema direttamente o no, che allarga l’orizzonte,che illumina la serata in una specie di visione panoramica – cinepanoramica oserei – della romanità in un’armonia che fa immagine. Folgorante.
Due bis molto diversi : uno più intimo, la valse triste di Sibelius, quasi cantata con fluidità e raffinatezza, per tornare dentro di se dopo questo finale grandioso, e poi, ultimo omaggio incrociato Italia/Svizzera, la seconda parte dell’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini, prodigiosa di vitalità e di energia. Accoglienza trionfale del pubblico, meritata, per un direttore di spicco in molti repertori, e per un’orchestra splendida, completamente dedicata al suo direttore dal 2005, che ha dimostrato questa sera la sua incredibile qualità. Sontuoso.

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