Die Meistersinger von Nürnberg (1868)
Richard Wagner
Opera in tre atti
Libretto di Richard Wagner(Editore Schott Music GmbH & Co. KG ; rappr. per l'Italia:Sugarmusic S.p.A. – Edizioni Suvini Zerboni)

Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Opernhaus di Zurigo

Direttore Daniele Gatti
Regia Harry Kupfer
Scene Hans Schavernoch
Costumi Yan Tax
Lighting Designer Jürgen Hoffmann
Coreografia Derek Gimpel
Video Designer Thomas Reimer

COMPAGNIA DI CANTO

Eva Jacquelyn Wagner
Magdalene Anna Lapkovskaja
Hans Sachs Michael Volle
Sixtus Beckmesser Markus Werba
Walther vonStolzing Erin Caves
David Peter Sonn
Pogner Albert Dohmen
Kothner Detlef Roth
Hans Foltz Miklos Sebestyen
Der Nachtwächter Wilhelm Schwinghammer
Hans Schwarz Dennis Wilgenhof
Hermann Ortel James Platt
Konrad Nachtigall Davide Fersini
Balthazar Zorn Markus Petsch
Kunz Vogelgesang Iurie Ciobanu
Augustin Moser Stefan Heibach
Ulrich Eisslinger Neal Cooper
Die Lehrbuben Oreste Cosimo*
Aleksander Rewinski**
Jungyun Kim**
Geremy Schuetz*
Francesco Castoro*
Santiago Sanchez**
Omer Kobiljak
Katrin Heles**
Alice Hoffmann**
Dorothea Spilger*
Franziska Weber**
Sofiya Almazova**
Mareike Jankowski*

*allievi dell'Accademia del Teatro alla Scala
**Allievi del Mozarteum Salzburg

Perdurando l'indisposizione, Michael Schade è costretto a cancellare tutte le recite della produzione di Die Meistersinger von Nürnberg. La Scala ringrazia molto Erin Caves per la disponibilità a cantare il ruolo di Walther von Stolzing.

 

 

 

 

Teatro alla Scala, 26 marzo 2017

Da 28 anni, non andava in scena alla Scala Die Meistersinger von Nürnberg di Richard Wagner.  Dal 1952, solo quattro riprese. Se si pensa ad Arturo Toscanini che oltre al 1899, ha ripreso l’opera nel 1922, 23, 24, 26, 28, i tempi sono cambiati… L’osservazione delle stagioni di Toscanini, al momento in cui si festeggia il suo 150° anniversario, colpisce dalla loro modernità e soprattutto dalla loro apertura, quando si pensa ad esempio al numero di opere di Wagner che aprivano le stagioni tra il 1900 e il 1910.
Daniele Gatti è il primo direttore italiano a dirigere il capolavoro di Wagner alla Scala dopo il 1952 (Antonio Guarnieri nel 1945 e Tullio Serafin nel 1947 nella nuova sala ricostruita) e succede a Wilhelm Furtwängler (1952), Karl Böhm (1961), Wolfgang Sawallisch (1989).

 

Atto III

Questa produzione non ha avuto grande fortuna : prima era prevista la ripresa di quella di Salisburgo, firmata Stefan Herheim (2013), ma si è rinunciato per importare la produzione di Zurigo, firmata Harry Kupfer, già diretta da Daniele Gatti nella stagione 2011–2012. Poi il tenore Michael Schade ammalato è stato sostituito dopo la prima per tutte le rappresentazioni da Erin Caves, che canta il ruolo assai regolarmente.
Montare Die Meistersinger von Nürnberg, 4.30 ore di musica e 5.30 di durata complessiva, dopo 28 anni di assenza significa una grande sfida per gli organici del teatro. Senza dubbio è l’opera nel quale è più difficile entrare perché è una commedia dove il testo ha importanza uguale alla musica : perché il tema centrale del libretto è appunto l’elaborazione di una poesia che trovi la sua musica. E tutto il testo è pieno di giochi di parole e di giochi sonori, che un pubblico non tedesco può difficilmente capire ; il tutto sul ritmo della commedia, della conversazione, del dialogo. La musica stessa sottolinea e accompagna le parole con tante raffinatezze che la partitura è una delle più complesse, tanto legata a quello che succede e imponendo qualche volta i movimenti di scena : ad esempio l’ingresso di Beckmesser nel terzo atto, capolavoro di musica descrittiva, apre la via al commento musicale dei cartoni animati. Questa complessità fa si che anche per i wagneriani (soprattutto non tedeschi), Die Meistersinger von Nürnberg, è spesso l’opera al quale si arriva dopo tutte le altre.
Il cast è anche uno dei più complessi da elaborare : bisogna distribuire i Maestri, quattro cantanti di primo piano (Sachs, Pogner, Beckmesser, Kothner) e il resto non comprimari, ma cantanti con ciascuno una personalità (otto parti), anche se cantano poco. Gli altri ruoli (anche protagonisti) non sembrano spettacolari : Walther, ruolo di tenore mai eroico, esige pero una voce grande assai e molto rilievo ; Eva è una parte falsamente leggera (le grandi Eva furono anche spesso Marescialla del Rosenkavalier), Magdalene, parte non secondaria anche se mai esposta con una voce che deve rimanere pero sempre molto presente, David, il secondo tenore, anche lui non leggero ma con colore mozartiano, con notevole sforzo e presenza nel primo atto, – le parole che canta sono essenziali per capire il senso della trama‑, il Nachtwächter (la guardia di notte) che interviene brevemente due volte nel secondo atto esige un basso profondo di grande qualità.
La parte principale è quella di Hans Sachs : il ruolo più lungo del repertorio wagneriano, perché è praticamente sempre in scena, e nel terzo atto, tre arie difficili tra cui la penultima Euch macht ihr’s leicht, mir macht ihr’s schwer nel finale con tessitura molto alta, cosicché affatica molto la voce prima dell’aria finale  Verachtet mir die Meister nicht . La parte esige un cantante di notevole rilievo che abbia grande familiarità con la lingua e i suoi ritmi e accenti per poter far e teatro e musica, ma anche con potenza e acuti.
La regia di Harry Kupfer colpisce a due livelli :

  • da una parte stabilisce un ponte tra la ricostruzione post-bellica della Germania e la costruzione del futuro maestro – e afferma che l’anno zero non è mai l’anno zero, perché presto il paese ritrova la sua personalità e le sue tradizioni e costruisce il futuro appoggiandosi sul passato. Il dispositivo scenico è semplice : sul palcoscenico girevole una chiesa bombardata sostenuta da impalcature di cui si capisce di atto in atto che rimarrà rovina, come testimone della memoria : una “Gedächtniskirche” sul modello berlinese. Invece il fondo della scena cambia d’atto in atto : città bombardata nel primo atto, in ricostruzione con molte gru nel secondo, ricostruita con grattacieli nel terzo. Ma il fondo-scena stabilisce un quadro generico, mai invadente. Il palcoscenico girevole centrale invece è lo spazio dove si svolge tutta la vicenda, tra relitti della chiesa e impalcature metalliche che figurano Norimberga in costruzione.
  • D’altra parte, questa commedia vivace, che spesso fa sorridere o ridere lo spettatore rimane in qualche senso sulle sue nella visione di Kupfer : si sorride senza mai ridere, senza mai un personaggio che sia totalmente ridicolo. A cominciare da Beckmesser, figura piuttosto degna, non presa da vis comica o caricatturale, difesa da un Markus Werba giovane e elegante, che cambia molto l’idea del personaggio.

Atto I

Come spesso da Kupfer, il lavoro sui personaggi e sui movimenti è molto preciso e accompagna in particolare nel primo atto l’arte della conversazione, tipica dal teatro di prosa, con movimenti precisi, gesti che accompagnano le parole, atteggiamenti naturali, distesi, mai esagerati, lontani dai clichés dell’opera lirica : basta vedere i movimenti dei cantanti attorno al tavolo, chi si alza, chi è in piedi, chi si muove, e come si raccolgono attorno a Kothner e Pogner ai momenti chiavi della vicenda. E con i costumi (di Yan Tax), si capisce anche che non si tratta di una riunione di un sodalizio qualsiasi, ma ben una riunione politica del consiglio comunale.
Sempre nel primo atto, i movimenti dei giovani apprendisti sono anche loro all’opposto della coreografia geometrica che si vede spesso, c’è vivacità, perfino liti con gli stessi principi di naturalezza.
La presenza di impalcature permette di giocare su vari livelli, con personaggi che spiano gli altri, appaiono e spariscono, o che durante la scena finale della battaglia del secondo atto utilizzano l’insieme del dispositivo cosicché lo spettatore non sappia dove guardare…

Ma questo dispositivo mette in luce aspetti inattesi che dimostrano le raffinatezze della regia : durante il secondo atto, Eva e Walther nascosti su un’impalcatura, a vista, potrebbero flirtare, invece ascoltano con attenzione e serio la scena tra Beckmesser e Sachs. Per Walther, ecco anche una prima lezione di canto e lo si vede molto attento al discorso di Sachs. Kupfer sottolinea con vari aspetti la costruzione dell’artista e soprattutto l’evoluzione del personaggio : al primo atto, era solo ispirato ai movimenti della natura, come toccato dal “Furore divino” caro a Platone o a Ficino. Impara nel secondo la necessità del lavoro, lezione quanto più valida che viene data a quello stesso (il “Merker” Beckmesser) che lo silurò. È dunque pronto al terzo atto a finalizzare il canto e diventare maestroÈ
È anche molto chiaro nella regia che tutta la scena con Beckmesser, compreso il caos finale, è concepita da Sachs come mezzo per sottrare e Eva e Walther all’idea della fuga, ma anche per costringere Walther a riprendere il suo lavoro : cosi Kupfer fa apparire chiaramente il ruolo  demiurgico di Sachs, che manovra i personaggi, ma anche la città al servizio dei suoi obiettivi.

Le qualità registiche dell'ultra-ottantenne  Kupfer si leggono anche nella scena finale della Festwiese : la maniera virtuosa in cui viene organizzata l’inizio (la sfilata delle corporazioni), attorno al palcoscenico girevole, con coro e comprimari che invadono lo spazio, apparentemente in disordine, ma che giocano sui vari movimenti delle scene e della folla, su e giù e da destra a sinistra : è un momento che dà senso di vita e di gioia, ben lontano da rappresentazioni fossilizzate alle quali assistiamo spesso.
Non c’è nulla che sia esagerato, eccessivo, pittoresco nel senso polveroso della parola, e il senso della musica viene sottolineato con chiarezza, cosicché si capisca che la festa è certo quella di San Giovanni, ma anche quella del popolo che ritrova se stesso e ritrova i suoi valori. La Norimberga di Wagner è governata dall’arte come la Repubblica di Platone lo è dai filosofi. Di più Wagner affidando il governo della città ai poeti si pone come contraddittore diretto di Platone, o nuovo Platone lui stesso. L’utopia dei Maestri cantori è quella di una poesia creativa che crea il mondo nuovo e la felicità. Da questo dovrebbe essere evidenziata, sottolinea Kupfer, l’adeguazione di Norimberga alla Germania ricostruita su nuovi valori pacifici : alla fine, volens nolens, Beckmesser viene riammesso nella collettività, mentre Sachs svela la statua nuova, appoggiata ad un pilastro, che rappresenta il buon pastore, usata come metafora cristiana del buon governo, quello che Sachs illustra guidando la città
Tutto questo è legato all’idea di costruzione, quella dell’artista fatta d’ispirazione e di lavoro artigianale, quella dello stato tedesco del dopo guerra, ma anche dello stato tedesco tutto da fare che sta per nascere nel 1868, a tre anni della creazione dell’Impero, ed è anche chiaro che le speranze in un futuro alimentano questo finale dove Wagner, artista beniamino del re Ludwig di Baviera, è anche lui il poeta che sogna di essere l’ispiratore del re artista. Non a caso la lettura di Kupfer è aperta assai per rispondere a tutte queste direzioni, e lo fa con un tocco mai insistente, perché si indirizza ad un pubblico avvertito. Non dimenticare che l’opera wagneriana non è mai esente né d’ideologia né di politica, né di umanità.

A questa lettura cosi varia ma anche cosi rigorosa, deve corrispondere una direzione musicale che possa aprire e sul intimo, e sul politico/filosofico, e sull’umano. Die Meistersinger von Nürnberg è opera singolare perché, a parte tre momenti-chiavi assai spettacolari, ouverture, finale 2° atto e Festwiese, nonché il concertato finale del primo atto e il quintetto, tutto il resto è quasi conversazione. La trappola di quest’opera è l’assenza apparente di spettacolarità durante buona parte della rappresentazione, tutta nei scambi tra testo e musica che s’intrecciano e dove sistemi di echi fanno corrispondere il testo e la musica che lo accompagna. Si tratta di una commedia, coi ritmi della commedia, con una prevalenza del teatro, spesso più vicina al teatro in musica che all’opera. In realtà si tratta della seconda commedia dopo Das Liebesverbot, lei chiaramente chiamata Komische Oper. La natura stessa del libretto richiede uno studio molto particolare del fraseggio da parte dei cantanti, e della linea musicale, degli equilibri tra parola e musica. Ma nello stesso tempo la musica può (l’ouverture) essere più pomposa, una pompa che può essere ironica (I maestri), ma che sottolinea anche la posta nobile in gioco : identificare una città governata dall’arte in quanto quello che unisce le corporazioni e il popolo è la poesia e quindi l’arte.

Allora la direzione musicale deve sottolineare questi due aspetti dello spettro : una musica che abbia grandezza, ma anche intimità e leggerezza, e che faccia sempre mettere in risalto la straordinaria umanità del pezzo, questa bonomia sorridente che fa si che nessuno può dubitare dello scioglimento finale. Se certe regie tirano l’opera verso i pericoli (compreso il nazismo), quella di Kupfer è straordinariamente ottimista. Stefan Herheim a Salisburgo (che doveva venire in Scala) era più utopico e molto più individualista : un sogno di Sachs in un mondo alla Disney. Kupfer fa invece respirare in modo diverso il pezzo, e la musica deve riflettere il respiro che dà la regia. Daniele Gatti riesce a far navigare la musica tra i due poli, quelli intimi e quello spettacolare : il lavoro sulla Festwiese, col coro magnifico preparato da Bruno Casoni (bellissimo Wach’auf), è straordinario di precisione, e di chiarezza, non solo si sente tutta la complessità della scrittura, ma si lavora anche sugli equilibri, con attenzione alle voci, soprattutto quella di Sachs, a dura prova. Ma meno spettacolare e più singolare è il lavoro di orologeria di precisione sulle parti più “parlate”, dove si vede la volontà di dare una linea, di appoggiarsi su certi strumenti che fanno (come le voci) conversazione tra di loro. Questa direzione è soprattutto sensibile, non esente di pathos, ma solo quel necessario autorizzato dal dramma, senza niente di dimostrativo e anche molta leggerezza. Gatti fa suonare, fa accompagnare, fa dire, non spinge mai a strafare. Perché l’orchestra della Scala non è paragonabile ad un’orchestra tedesca che suona spesso il pezzo, è nuova nel pezzo e fresca, senza tradizione istallata. Il lavoro fatto è molto profondo, dimostra molto spessore, e anche une vera gioia di suonare : si sente nella perfezione degli attacchi, nella rotondità del suono, nella bella resa degli ottoni (con pochissime scorie) e anche nella drammaticità di una direzione che dà spazio alla tensione : l’insieme finale del secondo atto (la famosa baruffa), oltre al perfetto crescendo di volume, viene appoggiato sulla linea degli ottoni e dei legni, cosicché il resto dell’orchestra, più discreto, fa risalire il coro, e  il dialogo ottoni/legni-coro è molto ironico nel ritmo e nella resa :  tutto viene messo in risalto in modo inaudito e dà tensione e spettacolarità all’insieme.
Ho sottolineato la difficoltà di trovare un cast idoneo per Die Meistersinger von Nürnberg, visto il numero di personaggi (30 sulla locandina, apprendisti compresi). Quello della Scala non fa eccezione : il Walther di Erin Caves, che salva la rappresentazione – non dimentichiamolo‑,  non è spettacolare, piuttosto pallido scenicamente, la voce è proiettata male, rimane spesso coperta nei concertati o nel quintetto, il canto è piuttosto controllato e accettabile, senza pregi né difetti, ma rimane piatto, senza accenti, senza molto colore. Diciamo che porta senza danni la rappresentazione a buon fine.

La giovane americana Jacquelyn Wagner (Eva) fa carriera in Germania, è molto ben preparata, con un canto preciso, controllato, veramente elegante, ma la voce rimane un po’piccola, soprattutto nei primi due atti. Nel terzo atto, la voce si apre di più e in particolare nel quintetto, che domina in modo veramente splendido, ma non ha veramente la drammaticità voluta : Eva non è una ragazzina fragile, è piuttosto una ragazza certo giovane ma decisa che anche lei vuol costruire il suo avvenire e non essere né obbediente né sottomessa, la personalità scenica della cantante non è molto forte. Impressione quindi contrastata, Jacquelyn Wagner è una voce di grande qualità di sicuro, ma un’Eva, forse no.
Anna Lapkovskaia invece è una Magdalene molto presente, con voce ben impostata e proiettata, timbro scuro assai, ma anche giovanile, con bella potenza. Il ruolo non è neanche lui spettacolare ed è difficile dargli rilievo, anche se Magdalena è importante nell’equilibrio generale delle voci. Anna Lapkovskaia ci riesce e afferma presenza.
Più importante ancora David : una voce di tenore, che deve essere forte, ma con timbro chiaro, cantare con eleganza e espressività. C’è sempre la scelta tra un caratterista (che canta anche Mime, come Heinz Zednik, Erwin Wohlfahrt o Gerhard Stolze) o un tenore più lirico (Endrik Wottrich o Norbert Ernst, o Daniel Behle che lo farà quest’estate a Bayreuth) anche di colore mozartiano. Peter Sonn che lo ha cantato spesso, e sempre con ottimo risultato, fa parte della seconda categoria : la voce è presente, con stile, con eleganza. Il personaggio c’è, molto espressivo con canto intelligente. Il ruolo esige infatti una grande intelligenza del testo perché forse all’inizio dell’opera, nel suo dialogo con Walther, dice le cose più importanti per capire l’arte del canto secondo Wagner, che è metafora dell’artigianato. Bravissimo.
Detlev Roth (Kothner) è una delle belle voci tedesche oggi, uno di quei baritoni-bassi che rassicurano un teatro, con carriera regolare.  Il suo Kothner è pieno di rilievo  anche lui, con voce chiara e presente, notevole anche.
Una nota per il Nachtwächter di lusso cantato da Wilhelm Schwinghammer, un basso molto bravo in piena carriera che canta a Bayreuth (Fasolt, König Heinrich), il che dimostra l’importanza della piccola parte del Nachtwächter nell’economia della rappresentazione.
Markus Werba è Beckmesser. Anche per questo personaggio, due tradizioni, una piuttosto vecchia di un Beckmesser ridicolo “a vista”, caricaturale, nel quale molti vedevano l’immagine dell’ebreo, e un'altra, più recente, di un Beckmesser forse psicologicamente problematico, ma con aspetto neutro o addirittura elegante e in ogni caso non caricaturale. Questa linea è quella che si vede ormai spesso sulle scene. Già nel 1979 Wolfgang Wagner aveva aperto la via verso un Beckmesser non caricaturale con Hermann Prey. Michael Volle ne fu uno dei più grandi qualche anno fa, Dietrich Henschel anche. Molto spesso grandi Beckmesser sono ( per contrasto?) eccellenti cantanti di Lieder . Markus Werba non è una caricatura, ma solo un personaggio rigido e ossessionato, solitario e forse anche insicuro. Markus Werba è fisicamente all’opposto di un Beckmesser-caricatura, è anche seducente, e si autodistrugge dal suo carattere, non dai suoi difetti fisici. Seducente anche il canto, molto educato, anche lui costruito nella frequentazione di Mozart, con bel controllo, magnifica espressività, compreso nell’ultimo Lied, giudicato assurdo, ma che è un capolavoro surrealista, che potrebbe trovare spazio nella scrittura del primo Novecento, dove Beckmesser potrebbe apparire come il sovversivo assoluto (l’idea della regia di Katharina Wagner a Bayreuth qualche anno fa). La regia di Kupfer, meno distruttiva, lo reintegra nella comunità della piccola Repubblica di Norimberga, come nella nuova Germania, che vuole essere accogliente per l’altro (ved. oggi l’atteggiamento tedesco verso i rifugiati oggi).

Tutto il paradosso di quest’opera sta nel dibattito tra poesia e canto, più che sul cantar bene o male, espresso e reso con perfezione stilistica : insomma Beckmesser deve saper rappresentare il “mal cantare” cantandolo in modo impeccabile. La questione sta in una scrittura che deve trovare la sua musica, ma con stesso autore (si riconosce Wagner!), mentre l'errore di Beckmesser sta nel fatto che non c'è adeguazione tra il testo (che non è suo) e la musica, ma Beckmesser è questo cantante eccellente, tradito dal suo testo, ma che deve cantare in modo impeccabile. La sintesi finale,  dialettica secondo Platone, della quale tutta quest’opera è l’illustrazione, è quella della musica che trova il suo testo, e vice versa. Pura sintesi wagneriana, che risponde con largo anticipo al dibattito ben conosciuto del Capriccio di Richard Strauss

Grande anche il Pogner di Albert Dohmen, che fu anche lui un Sachs notevole. Una presenza scenica imponente, un canto come scolpito, molto chiaro, emissione perfetta, volume, espressività, tenuta di linea. Il personaggio stesso, trattenuto, discretamente umano, che nasconde le sue fragilità, è visto molto bene. Il “faccia a faccia” Dohmen/Volle è come un duello di giganti.
E Sachs è il personaggio che opera questa sintesi, al livello pubblico e privato, dove pubblico e privato s’intrecciano. Il personaggio rinuncia per sé, al nome della realtà, al nome dell’arte anche perché cerca nell’arte i suoi modelli (la citazione di Marke et del Tristan und Isolde, anche se autoironica, è molto azzeccata): si vede anche come la Marescialla di Strauss è una erede di Sachs, e il terzetto finale del Rosenkavalier figlio del quintetto di Meistersinger.
Ogni sintesi è rinuncia : ecco la lezione di Sachs : anche il demiurgo deve rinunciare per poter far andare avanti la comunità.
Per far percepire queste cose molto raffinate, il cantante che interpreta Sachs deve essere anche lui addirittura un maestro. Considero il ruolo tra i più difficili del repertorio prima per l’impegno fisico, enorme, che pochi possono condurre a buon fine, ma anche perché l’opera sembra fluida nella conversazione, dove l’aria sembra “monologo”, cioè conversazione con se stesso, che dà sempre un’impressione di evidenza. Invece la parte è terribile, perché spesso quelli che sanno conversar-cantando, hanno difficoltà nelle parti tese (fu il caso di Franz Hawlata), e quelli che non hanno difficoltà all’acuto non sanno sempre sostenere il tono "conversativo " dell’insieme. Michael Volle è affascinante perché ha una naturalezza incredibile nel dire, perché i suoi gesti, i suoi movimenti son dettati da dire, dal testo e dalla sua intellegibilità. Volle intellettualizza la parte (all’opposto di un Wolfgang Koch, l’altro Sachs del momento, che tiene a mantenere un Sachs popolare, artigiano, anche se colto), con distanza, nobiltà, ma anche con un’immedesimazione incredibile. Certi hanno notato la stanchezza alla fine, e soprattutto nell’aria ultima, certi altri in modo crudele l’acuto steccato. Ma che importanza di fronte a un monumento dell’interpretazione, dell’intelligenza testuale e scenica, di fronte a un monumento del canto in assoluto, dove la verità dell’interpretazione trasuda tra il dire, il fare, il cantare. Anche la stanchezza finale può  arricchire il personaggio per il quale la sintesi di cui si trattava sopra è dolore, è stanchezza, è sforzo sovraumano. Aldilà di tutto, davanti a una tale interpretazione una sola parola : chapeau !

Tutto il teatro è da salutare per una rappresentazione che è un impegno notevole per tutti e che offre senza dubbio uno spettacolo di altissimo livello, a prova (ultima) l’eccellenza del gruppo degli apprendisti, preciso, molto agile in scena, con perfetta dizione, dove si sentono voci future interessanti. Però noto che Alexander Pereira, con le tre produzioni di Meistersinger fatte dal 2011, a Zurigo, a Salisburgo, a Milano ha sbagliato ogni volta a distribuire Walther di sicuro e forse anche Eva. Fossi lui, mi preoccuperei.

Finale atto II

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